Epifania d’Occidente ovvero le due facce dell’orrore

Ecco le due notizie del giorno dall’enorme campo di sterminio in cui Israele sta trasformando Gaza.
La prima attiene al terreno della prassi genocidaria, la seconda alla dimensione linguistica,  cioè delle politiche linguistiche che è giusto tenere di fronte all’annientamento di un’intera popolazione. Protagonisti della prima sono i fascisti israeliani, mentre i protagonisti della seconda sono personalità di sinistra – o, come si usa dire, della “società civile”. Essendo i primi, come sempre, degli estatici della morte, nemici eccitati degli oppressi e dell’umanità e della vita, tralasceremo di occuparcene: con gli assassini, degli assassini, non si discute. Dei secondi e dei loro discorsi, anche qui come sempre, occorre occuparsene, perché il loro mestiere di produrre finta critica e gettare “fumo negli occhi” è tanto proficuo per il sistema quanto dannoso per l’umanità oppressa. Intanto un fatto: uno dei firmatari, forse il più eminente, è un informatico che ha sviluppato algoritmi e lavorato per la stessa intelligenza artificiale che è protagonista della guerra in corso.
È chiaro anche in questo caso come i personaggi di sinistra, in una società in cui la guerra è un fatto totale, sono assassini dal volto pulito per il semplice fatto di volere continuare a “sedere in società” rimuovendone il suo fatto fondamentale: la guerra appunto. Con un valore aggiunto, per il Sistema, che è la finta critica: se nella vita di tutti i giorni lavoro all’infrastruttura tecnica che aumenta la capacità distruttiva della guerra e, dopo tre mesi di massacri, firmo un appello “contro lo sdoganamento linguistico del genocidio”, faccio guerra all’intelligenza naturale (alla coscienza) di tutti e di ognuno. Eppure, anche se siamo di fronte a un enorme capacità di falsa coscienza dei soggetti in questione, c’è una parvenza di coerenza nel progetto: se la guerra è sempre più un affare di macchine intelligenti e di uomini macchina (cioè svuotati della loro intelligenza di specie) allora l’eccitamento fascista alla morte, l’incitamento allo sterminio, i discorsi esaltanti la pulizia etnica, sono vezzi obsoleti, da cavernicoli (1). Questa è la versione attuale del programma di sinistra del capitale occidentale: facciamo fare il lavoro sporco alle macchine, così potremo stare al lavoro nei bianchi dipartimenti in cui si progetta la fine dell’umano. (Non c’è miglior commento alla parabola di vita di Toni Negri di questo “manifesto della ragion tecnica applicata” che è la democrazia Israeliana)
Quello che i sinistri non potranno mai vedere – immersi come sono nella contraddizione che li costituisce – è che non c’è futuro per la ricerca della tecnoscienza fuori dall’impulso di morte alimentato dagli Stati e dagli eserciti; che, “raffreddato” e codificato in codici binari, è quello stesso spirito di morte che le macchine incorporano e sempre più incorporeranno grazie al lavoro di solerti ricercatori così inclini all’autoindulgenza etica.

L’unica coscienza vera e, con essa, l’unica possibilità di futuro è nella rivoluzione vista come opera di quegli umani che tirano il freno di emergenza del treno – in corsa verso l’abisso – che gli umani stessi hanno costruito (altri umani o il me stesso di qualche anno fa, poco importa). Ma nel frattempo, per restare umani, bloccare la normalità dello sterminio (dai carichi di materiale bellico alla percezione del “non ci riguarda”) sarebbe il minimo indispensabile.

1) Viene in mente Gunther Anders che col suo acume notava come l’esaltazione della violenza e della morte tipica dei fascisti fosse un esempio di “mimesi delle macchine”, un tentativo di imitarne la capacità distruttiva, di colmare sul campo della violenza il dislivello prometeico tra il mondo umano e quello tecnico.

 

Il paesaggio e la vita

 


Anche quest’anno a Polizzi Generosa si t
iene, dal 8 al 17 dicembre, il festival del paesaggio1. Si tratta di una kermesse di incontri e proiezioni già criticabile in sé, separata com’è dalla quotidianità degli abitanti disastrati (non fotogenica categoria di cui ci fregiamo far parte) e tutta volta alla riduzione del territorio in paesaggio – una merce come le altre da lustrare e mettere in vetrina per meglio venderla, ma di cui avremmo volentieri fatto a meno di parlare. Se non fosse che nel programma spicca un incontro, previsto per il 16 dicembre, con Luca Romano, autore di un libro dal titolo eloquente: “L’avvocato dell’atomo”.
https://www.amazon.it/Lavvocato-dellatomo-difesa-dellenergia-nucleare/dp/B09S5VSCG9

Si tratta di un fisico, pubblicista/pubblicitario del nucleare che sventolando la bandiera della scientificità – con la sempre verde dichiarazione di guerra alle fake news – affronta le critiche e le obiezioni al nucleare più mainstream e meno radicali ovvero quelle che valutano costi e benefici delle singole soluzioni tecnologiche senza criticare alla base il modo di produzione/distruzione del sistema di cui il nucleare è l’emblema più chiaro. Non è consigliabile, per uno scienziato da social media, affrontare la relazione intrinseca tra nucleare, estrattivismo e guerra – quella relazione che spiega l’importanza strategica per tutti i blocchi di potere dell’Ucraina, che è il primo Paese al mondo per riserve di uranio (la benzina dell’energia nucleare), oltre che di altre risorse strategiche per il sistema industriale, da cui deriva la vera ragione del bagno di sangue lassù2. Questa stessa relazione si materializza in Ansaldo Energia, società controllata da Leonardo Finmeccanica, il colosso italico degli armamenti, che ha da poco dichiarato l’apertura di una “cordata per l’atomo”3; giova ricordare anche che, grazie alle guerre volute da destra e da sinistra, Leonardo ha triplicato negli ultimi due anni i suoi utili (che non erano certo magri in precedenza). Si chiama economia di guerra, è la stessa che prevede che la sanità faccia schifo, che le strade siano disastrate e non ci siano soldi per la cura dei territori: tutti temi per cui sono state organizzate marce a cui i sindaci sono stati ben contenti di partecipare, a patto che non venissero ricordate le loro responsabilità (e, in alcuni casi, i profitti privati di qualcuno).
Si dirà, “sì, d’accordo la relazione tra il nucleare e la guerra però… che c’azzeccano difesa del nucleare e valorizzazione del paesaggio?”
Intanto è un buon modo per dimostrare che sulle questioni strategiche e di sistema non ci sarà nessuna opposizione dalla c.d. opposizione PD che qui ha la sua egemonia amministrativa4. Quando si parla di nucleare non è in ballo soltanto la questione, non certo secondaria, dell’accaparramento energetico ma anche la tenuta e il consolidamento di quella tecnocrazia militare che ha fatto il suo grande ingresso in società durante la gestione pandemica grazie (molto) al PD e ai governi tecnototalitari di Conte e Draghi. Questo stesso pilota automatico tecnomilitare ha oggi Meloni & Co. come giullari di corte ma gli stessi stati maggiori militari, servizi segreti, high tech company e grande finanza, come gestori (dei gestori che nessuna elezione potrà mai scalzare dal loro posto). Il nucleare è la tecnologia perfetta per una società che avrà sempre più bisogno di gestione autoritaria per mantenersi in piedi (mentre il mondo crolla): centralizzazione del controllo, una catena di comando militare/civile per prevenire gli attacchi e per gestire le emergenze; un apparato di soldataglia ovunque che servirà anche a soffocare nel sangue qualsiasi spiraglio di rivolta, qualsiasi rottura della pace coloniale – come ci ricorda quotidianamente l’orrore democratico subìto dalla popolazione di Gaza. Per questo siamo contro il nucleare, perché rafforza i nemici della libertà che tengono in catene, miseria e cerchi di fuoco l’umanità.

Il deposito di scorie nucleari e il paesaggio

E però l’inserimento di una simile arringa pro-nuke proprio all’interno di questo tipo di kermesse non si spiega solo con queste ragioni generali. Non vorremmo (ma è probabile) che dietro se ne nasconda un’altra: più contingente, più urgente, più locale. Le Madonie compaiono tra i 60 siti individuati dall’agenzia governativa SOGIN come adatti ad ospitare un mega deposito di scorie radioattive; un deposito che diventa ancora più importante dal momento che le classi dirigenti vogliono il nucleare e lo vogliono il prima possibile. Organizzare, sotto le mentite spoglie di un dibattito, un momento di propaganda pro-nuke serve sia a preparare il terreno del consenso locale sia a mandare il messaggio che qui, sulle Madonie, è possibile far coesistere una potenziale bomba radioattiva con la diffusione dell’immagine da paradiso naturale da vendere al turista. L’organizzazione dello spettacolo non conosce contraddizioni insanabili ma solo sfide da superare e tutto è possibile per chi detiene i mezzi di produzione dell’idiozia sociale: è successo in Salento col Tap, può succedere qui col deposito di scorie.

Mentre ci si indignava, giustamente, per le parole razziste di un miliardario locale che si lamentava dell’abbandono dei territori, riversandone come sempre la responsabilità in basso, ai giovani siciliani nullafacenti, nessuno ha detto un fatto semplice e banale: quello stesso deserto è voluto e imposto dalla gente della sua “razza”, dagli uomini dei centri di potere statuale ed economico che mentre affollano le sue sfilate decidono della sorte (e della morte) di interi territori.

Tutto il resto sono solo chiacchiere, buone per distrarre gettando fumo sui quotidiani disastri e su chi li rende possibili.

Per questo invitiamo tutti gli individui di cuore e di spirito critico a disertare e/o a contestare l’evento in programma, col pensiero rivolto all’altra sponda del Mediterraneo, a chi sta vivendo sulla propria pelle un altro genocidio voluto dall’Occidente.

Contro il Nucleare, al fianco dei palestinesi e di tutti i popoli oppressi!

 

1https://www.palermotoday.it/eventi/filmfestival-paesaggio-2023-pollizzi-generosa.html

2https://www.unicampus.it/news/fonti-energetiche-il-tesoro-dell-ucraina-e-l-uranio/#:~:text=27%20luglio%202022%20-%20Con%20quindici,%2C%20ferro%2C%20mercurio%20e%20carbone.

3https://genova.repubblica.it/cronaca/2023/11/12/news/ansaldo_urso_convoca_le_imprese_riapriamo_la_strada_al_nucleare-420202356/

4 Un’evidenza per tutti quelli che non sono nel libro paga dell’apparato di formattazione dei cervelli, che rende particolarmente insopportabili e patetiche le posizioni di Romano. Riportiamo un passaggio di una recensione, ovviamente apologetica, del libro dell’autorevole servitore dell’industria atomica: <Perché questo libro non servirà a niente” è il titolo di un paragrafo dell’Avvocato dell’atomoin cui l’autore, fisico e giornalista scientifico, dichiara che la sua esposizione dettagliata e precisa dei fatti nulla può per sconfiggere la paura per l’energia nucleare, che è il naturale timore dell’ignoto> , come se non sapesse che non basterà la paura dell’ignoto dei dominati a fermare i piani assassini dei dominanti.

Appunti libertari sugli incendi in Sicilia e Sardegna

Abbiamo prodotto un opuscolo sugli incendi, contenenti due testi. A parte “il problema non è il fuoco” (scritto da noi e che potete leggere nel post qui sotto), contiene “Cenere e macerie”, testo di un compagno sardo uscito sulle pagine di Nurkuntra qualche anno fa.

Per chi volesse delle copie cartacee, scriva a: scirocco@autoproduzioni.net. Chiediamo 2€ a copia per chi ne prende almeno 3 più 1,5 € per la spedizione.

Qui si può leggere e scaricare l’opuscolo in versione web: Opuscolo Incendi

Incolliamo qui sotto l’introduzione.

Lo sappiamo, sul tema degli incendi non bastano due scritti. Eppure, come per tutte le imprese ardue che sia una passeggiata impervia, un lavoro gravoso, o il mantenere una prospettiva di liberazione in questi tempi di pensiero unico dell’ubbidienza si tratta di cominciare.

Come successo in un’altra occasione editoriale (Nc’at murigu 2020), ma quella volta per iniziativa di compagni sardi, abbiamo scelto, sulla questione, di affiancare questi due scritti, uno nostro siciliano e uno sardo, appunto.

I motivi, lo scopriranno tanto i lettori sardi quanto quelli siciliani, sono diversi. Innanzitutto perché si integrano bene, l’uno illumina qualcosa che nell’altro manca e viceversa. E questo dice già qualcosa d’altro: che a fronte delle differenze – sociali, economiche, culturali – sulla questione-incendi le analogie tra le due isole sono molte. Non solo in riferimento alle cause storiche che si intrecciano con le sorti delle comunità e delle economie locali ma anche in rapporto al processo, ugualmente storico, che quelle comunità ed economie ha distrutto. Quella gestione burocratica statuale dei boschi e dei vasti entroterra isolani che, in Sicilia come in Sardegna, ha significato anche un laboratorio di gestione delle popolazioni, un sofisticato dispositivo di distruzione dell’autonomia di vita e di espropriazione del territorio agli abitanti a mezzo stipendio (precario e “garantito” dai vari ceti politici poi diventati pletora sindacale). Tutta questa storia, accennata nello scritto di Nikola e approfondita in altri scritti di Nurkuntra, ci insegna che la diade statocapitale ha potuto modificare antropologicamente collettività e singoli abitanti (plasmandoli all’uso della società del dominio) in primo luogo mutando il loro rapporto intimo ed esteriore con l’ambiente.

Inoltre, lo scritto di Nikola sulla Sardegna, si dilunga più approfonditamente sulla storia autoctona, contadina e pastorale, degli incendi. Nel fare ciò questo compagno rivela nella pratica una certa etica del radicamento; il riferirsi e il sentirsi parte di una tradizione, non significa accettare tutto quello che da lì viene acriticamente, ma semmai il contrario: farla vivere, significa esercitare un’attitudine attiva nella dialettica tra ciò che è individuale e ciò che precede l’individualità. Un passaggio di sguardo, un certo “uso” delle storie che ci fanno, a cui siamo legati e che erano emersi durante la due giorni in Sicilia su Sud, Civiltà contadina, cosmovisioni e rivoluzione.

Per ultima, qualcosa che lega con discrezione, facendo da sfondo, i due scritti. A scriverli sono stati due compagni della montagna, barbaricina (Sardegna) e madonita (Sicilia). A dimostrare che secoli e millenni di dominazione non possono sopprimere la voglia di libertà e di una vita radicalmente altra, (anche) perché i territori regalano agli sguardi abitanti dei cocciuti sovversivi le tracce delle lotte che ci hanno sì visti sconfitti ma non (ab)battuti. E anche che la sopravvivenza delle storie carsiche dei territori può realizzarsi solo nelle lotte di liberazione, nell’esperienza individuale e collettiva della vera vita.

Per la Terra, per la Libertà!

 

 

Il problema non è il fuoco

Appunti libertari sugli incendi in Sicilia

Un giorno un giornalista andò da un poeta e gli chiese: «Qualora le si incendiasse casa,

lei cosa salverebbe?»

Il poeta rispose: «Il fuoco»

Guido Celli

Questo cosmo non lo fece nessuno degli dei né degli uomini

ma sempre era, ed è, e sarà.

Fuoco sempre vivente che con misura divampa

e con misura si spegne”

Eraclito, Frammento 2

Questo scritto parte per dare conto di uno stato di scuotimento e tentare una via di uscita: quello scuotimento che ti prende quando tutta la terra, che senti tua in modo non proprietario, brucia quasi per intero (un’esperienza estiva che si ripete a cicli sempre più brevi). Come tutte le esperienze eccedenti, è caratterizzata nelle prime fasi da uno spettro di sentimenti indistinti: rabbia, sgomento, sconforto, tristezza. Quando la casa brucia si vive il dubbio radicale su quanto sia vera la conoscenza che presumiamo di avere su di essa. Questa situazione psicologica di radicale spiantamento nel caso degli incendi della settimana scorsa si è spansa su tutta l’isola, densa e spessa come il fumo nero che abbiamo respirato.

Come reazione fisiologica e giusta, da più parti stanno nascendo assemblee (alcune più a taglio territoriale/autorganizzativo, altre di taglio più generale1) che poggiano su un sano e netto rifiuto di delegare la salvaguardia del territorio e delle collettività abitanti alla politica e alle istituzioni, cercando di dotarsi di strumenti di analisi, prospettiva e intervento autonomi. Consideriamo questo scritto come un piccolo contributo in tal senso, realizzato da una prospettiva schiettamente e concretamente libertaria. Uno sguardo, quindi, animato da una tensione etica che consideri l’importanza della massima aderenza mezzi/fini e che cerchi di scorgere e costruire percorsi in cui si valorizzino soluzioni che non alienino mai dalle assemblee il potere di comprendere (il) e agire (sul) territorio. Un spirito curioso e capriccioso abita da sempre la storia delle assemblee: a seconda di come gli giri, queste possono essere occasione di incontri inauditi, di meraviglia e reinvenzione della vita (risolvendo problemi concreti e andando ben oltre) o, al contrario, volgere in aridissime imitazioni dei parlamenti con tutto il corollario di palloni gonfiati di retorica e vanagloria. Ma non ci si inganni: l’umore di questo spirito dipende direttamente dall’attenzione che tutti gli individui associati in assemblea donano ai processi e agli argomenti di vita comune che si affrontano. Quindi lunga vita a queste assemblee, che durino e fioriscano al di là del tempo e delle ragioni della cosiddetta emergenza.

per leggere tutto il documento:

ilproblemanonèilfuoco

 

Guerra e repressione- Solidarietà ad Antudo e a tutti i compagni e compagne inquisite/i negli ultimi mesi

L’ingiustizia è la più grande istigazione a delinquere

“…intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale”

In queste poche righe sta racchiuso il colpo di genio che l’intelligenza repressiva ha elaborato negli ultimi decenni. Grazie al lavoro degli instancabili giuristi con l’elmetto, necessari al Sistema quanto lo sono gli enti di ricerca sui sistemi d’arma, la vaghezza della nozione di terrorismo è stata completamente assunta dalla lingua dello Stato per potere essere impiegata come arma contro i suoi nemici. Se “intimidire la popolazione” o le popolazioni è una prerogativa morale e materiale di ogni Stato- e quindi senza effetti giuridici, visto che è inimmaginabile uno Stato che persegua se stesso- rimane, a moralizzare l’azione repressiva, la seconda parte del periodo. Scompare dall’orizzonte dei sacerdoti del diritto la violenza strutturale, le migliaia di morti annue prodotte da frontiere, carceri, lavoro, inquinamento, nocività; scompaiono le carneficine perpetrate dagli eserciti e gli orizzonti attuali di terza guerra mondiale con corredo di olocausto nucleare. Mostro è, in questo bel mondo, chi pensa di opporsi e pensa di farlo non solo platonicamente ma agendo “contro le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali”: a dimostrare che niente, neanche il rapporto tra significati e significanti, resta fuori dalla guerra sociale.

In queste settimane stanno fioccando le inchieste per associazioni con finalità di terrorismo verso compagni e compagne che hanno lottato al fianco di Alfredo Cospito e contro il 41 bis. In Sicilia, le case di sei compagni e compagne di Antudo sono state perquisite con l’accusa di istigazione a delinquere e di atto con finalità di terrorismo (280 bis). Queste accuse si riferiscono tanto alla pubblicazione del video di un attacco ad una sede di Leonardo s.p.a. in Sicilia e al testo che l’accompagnava (istigazione a delinquere), quanto all’azione di attacco in sé (280 bis). Se una cosa vigliacca e schifosa come la repressione può avere un merito è che, nel farla, lo Stato parla chiaro.

Il carcere, il 41 bis, Leonardo s.p.a. e tutto l’apparato tecno-militare-carcerario, sono “strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali” dello Stato e dell’organizzazione sociale in attuale traghettamento verso l’utopia del controllo totale. Dalla guerra all’intelligenza artificiale, dalla collaborazione nella colonizzazione sottomarina con reti di cablaggio internet alla robotica e al 5G, per Leonardo s.p.a. non ha alcun senso la distinzione tra militare e civile (e scompare anche la distinzione tra “statuale” e “capitalistico”).

Quanto a noi, oltre a dare la più calorosa e sincera solidarietà alle inquisite e agli inquisiti, ci preme ribadire un concetto che ci è molto caro. A prescindere da chi quell’azione l’abbia realizzata, essa va difesa, dichiarata giusta, rivendicata- non in nome di un’organizzazione ma in nome dell’appartenenza sociale e umana all’enorme e anonima schiera degli oppressi, dei bombardati, dei morti che diventano statistica. Quella azione che per loro è terrorismo, è per noi fonte di incoraggiamento, è un atto di dignità esemplare. Loro hanno i codici, noi abbiamo la nostra memoria di oppressi: dalla colonizzazione di ieri all’estrattivismo e alle guerre di oggi, lo Stato è il più grande produttore di terrore.

Solidarietà a tutti i compagni e le compagne indagate nei recenti procedimenti!

Solidarietà ad Alfredo, Anna, Juan, Zac, Paska, Rupert, Davide e a tutti i rinchiusi, i ristretti, i braccati dalla legge! 

Solidarietà a Domenico Porcelli, in sciopero della fame da 5 mesi contro la morte-in-vita del 41 bis!

Solidarietà alle popolazioni e agli individui colpiti dagli incendi devastanti! Il problema non è il fuoco, è la miscela tra il fuoco e l’etica assassina di una società basata sul profitto e sulla sopraffazione.

alcune/i siciliane/i contro lo Stato e i suoi tentacoli

Sull’hub logistico-addestrativo, di isole colonie e della rivolta sempre possibile

Riportiamo un breve racconto di quello che sta succedendo nell’entroterra di montagna siciliano, perché ci sembra che i fatti riportati “parlino” del punto di saldatura tra locale e globale e, al contempo, illuminino, nell’utilizzare l’isola a mo’ di colonia, quella fusione di interessi tra stato e capitali che va sotto il nome di apparato militare-tecnoindustriale.
E’ dell’8 maggio, casualmente (di quella casualità sorretta dalla velocità e necessità di militarizzare l’isola e l’intera società) lo stesso giorno in cui il governo ha finanziato il ponte sullo Stretto con 4,5 mld€, la sigla dell’accordo tra i sindaci di Gangi, Nicosia, Sperlinga, Ministero della Difesa, e Comandante Generale della Brigata Aosta, che prevede che il territorio dei suddetti comuni diventi un hub per le esercitazioni militari. Si tratta di un’area di 34 chilometri quadrati, 3400 ettari, dove risiedono diversi abitanti e sono site aziende agricole e zootecniche: se costruito sarebbe tra i poligoni addestrativi più grandi di Italia. Un tassello in più nel mosaico della Sicilia come piattaforma e colonia militare, è stato messo da questi bravi e solerti (nei confronti dello Stato e della Nato) sindaci.

madoniepress.it/2023/05/08/un-hub-logistico-e-addestrativo-dellesercito-nei-territori-di-gangi-nicosia-e-sperlinga/?refresh_ce

Se già l’articolo riportato è una stranezza in sé (perché tanto strombazzamento?), leggendolo se ne nota subito un’altra: i generali annunciano a mezzo stampa che renderanno i territori più sicuri, citano la possibilità di prevenzione anti- incendio, provano a giocare di astuzia comunicativa. In questa area, infatti, sono divampati incendi terribili durante le due estati precedenti, incenerendo e facendo rischiare il lastrico a diverse aziende agricole: una “calamità”, quella dell’incendio, che fa tanto il gioco delle volontà coloniali del militarismo italiano che quello degli interessi energetici/estrattivi (che guardano all’isola, all’entroterra in particolare, come una miniera d’oro e agli isolani che insistono a viverci come degli ostacoli da rimuovere).
L’operazione comunicativa comunque fallisce miseramente e cominciano a sorgere nel territorio interessato malumori e comitati contro, in una febbre auto-organizzativa che da queste parti non si vedeva da decenni. Per tutta risposta, per tentare di spegnere l’incendio sociale prima che sia troppo tardi vengono indetti in tutti e tre i paesi dei consigli comunali aperti per il 25 maggio. Lo stesso giorno, le giunte di due dei tre paesi, Gangi e Nicosia, si ritirano dall’accordo (dopo una giornata di riunione presso la sede palermitana del Comando Generale dell’Esercito, Divisione Sicilia). Non si ritira il terzo paese, Sperlinga, il meno popolato, il meno combattivo nell’opporsi e quello in cui ricadrebbe la quota maggiore di territorio destinato all’hub.
Ci si organizza tra pochi/e compagni/e per andare a vedere che aria tira, distribuire un volantino di incitamento ad una lotta fuori e contro le istituzioni e il recupero politico, approfittandone anche per attacchinare un manifesto sempre sul tema. A Nicosia il consiglio comunale viene annullato a seguito della revoca dell’autorizzazione, ne approfittiamo per volantinare e attacchinare, verificando la contrarietà, dei pochi con cui parliamo, all’invasione militare. Andiamo allora nella vicina Gangi.
I carabinieri prima ci identificano e poi, in piena seduta di consiglio comunale, pretendono di perquisire la borsa di una compagna con dentro i nostri materiali: ne nasce un parapiglia che ci sembra sortisca più l’effetto della curiosità verso di noi che non quello desiderato dello stigma.
A consiglio finito torniamo tra la gente, riceviamo solidarietà e nascono interessanti discussioni a partire dal volantino distribuito.
Al di là della ridicolaggine degli avvenimenti, si può leggere l’ansia per la riuscita dei loro propositi: il piano è molto inclinato e scivoloso, stavolta per loro. La mentalità e il radicamento territoriale degli allevatori non sono un buon presupposto, ci mancavano solo gli anarchici!
Il prefetto, il giorno successivo dirama un comunicato rivolto ai Sindaci, invitandoli a evitare di mettere in campo qualsiasi azione che possa provocare situazioni di tensione con la popolazione. Risultato: la prima visita di alcuni reparti della Brigata Aosta viene sospesa. Insomma, lo sanno anche loro: la partita è aperta.
Dal canto nostro ci preme sottolineare come la Sicilia sia sempre più lo spazio geografico in cui si addensano – fino a quasi fare scomparire i confini tra di essi – i dispositivi necessari al mantenimento della società del dominio. Le frontiere, i due fronti di guerra (interno ed esterno), la tutela delle infrastrutture energetiche estrattive: per tutto questo servono i militari. Eppure è proprio per questa complessa rete di interessi, e perché la violenza dell’intreccio guerra e impoverimento si fa sempre più visibile, che è anche possibile toccare un nervo scoperto e suscitare la rabbia invece che l’accondiscendenza.

 

Segnaliamo un articolo di Antonio Mazzeo sull’hub

antoniomazzeoblog.blogspot.com/2023/05/poligoni-di-guerra-in-sicilia-lesercito.html

 

 

Riportiamo il testo del volantino distribuito in occasione dei consigli comunali aperti di Gangi e Nicosia (poi revocato) aventi per oggetto l’hub logistico addestrativo dell’Esercito Italiano, e un manifesto contro la guerra e gli eserciti.

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Vademecum per gli amici della lotta

È inutile negarlo, la notizia dell’esproprio militare di un pezzo enorme di territorio, che per molti è spazio di vita, ci getta nello smarrimento. Si scatena un miscuglio di sentimenti, cominciano l’amarezza e la rabbia a cui rischia di subentrare lo sconforto. La lotta che è appena iniziata e che dobbiamo continuare è anche una battaglia perché lo smarrimento non si trasformi in sconforto. Questa lotta si può vincere, questa lotta si deve vincere.

Ma come? Ad esempio prendendo spunto dall’esperienza, dai successi e dagli errori, di altre collettività che si trovano e si sono trovate di fronte a sfide (e sfighe) simili, a partire da Niscemi e dalla Sardegna, quest’ultima da decenni teatro di uno scontro tra l’invasione militare e la volontà di autodeterminazione di una buona fetta di società sarda.

Carpe diem e conoscenza del territorio

Spazio e tempo dei territori tornano a contare. Se il tempo è dalla parte di chi ha più soldi e potere, e quindi più capacità di muovere mezzi e uomini per la costruzione della cittadella militare, lo spazio è dalla parte degli abitanti, di chi ha coltivato il proprio sguardo sul dorso dei secoli e non su quello dei cannoni. Lo spazio, la terra, il territorio, sono le questioni materiali in gioco: usare il vantaggio di conoscenza su di essi darà più tempo a chi lotta per difenderli, togliendolo a chi avanza per schiacciarli. È più facile impedire un’opera non voluta quando non è ancora costruita che abolirla o distruggerla quando sarà operativa.

Azione vs attesa

Per la stesse ragioni è necessario organizzarsi, non attendere che qualcun altro risolva i problemi di tutti, magari gli stessi soggetti che hanno firmato contenti la consegna del territorio. E chi altro merita la fiducia dell’attesa, chi mai può avere la forza di fermare il più freddo dei freddi mostri, se non l’umanità comune che ha tutto l’interesse a farlo? D’altro canto chi vuole attendere può farlo senza pretendere che lo facciano tutti.

Legalitarismo vs autidifesa della vita

Ecco un altro tasto dolente. Lo smarrimento è il sentimento con cui si accompagna la scoperta che lo Stato non è dalla nostra parte, anzi che è disposto a sacrificare tutti i suoi “figli” per i suoi piani di dominio. Su questo punto, a livello di coscienza si gioca una partita fondamentale. Cosa fare? Rinnovare il contratto con l’illusoria fiducia nello Stato protettore o rescinderlo e coltivare il senso del giusto connettendolo alla sensibilità e all’intelligenza propria e di chi condivide la nostra stessa sorte? Noi propendiamo per la seconda. Perché chi ha un senso del giusto autonomo da quello dello Stato, sa anche distinguere tra violenza di oppressione e autodifesa della vita.

Corporeità vs digitalizzazione

Non c’è solo il pericolo e lo smarrimento, dietro ogni crisi si cela anche un’occasione: di rinascita, di reinvenzione delle forme di vita, di emersione di qualcosa di diverso. Seppure anche questo elemento di piacere della lotta sia mischiato ad altri stati è bene saperlo vedere, nominare e sfruttarne il potenziale. Cosa dice la febbre da messaggi nei gruppi whatsapp che ha preso tutti negli ultimi giorni, se non dell’affacciarsi di una possibilità e della sua cattura tecnologica? Quel piacere di affrontare problemi reali e di lanciarsi sul lato comune dell’esistenza va ascoltato e approfondito. Consegnarlo alla messaggistica è tanto veloce quanto superficiale. Abbiamo dimenticato cosa può l’incontro dei corpi con uno scopo comune? Davvero preferiamo gli schermi ad un’assemblea in piazza, alla costruzione di un presidio permanente di lotta, alla condivisione dei pasti e dei sogni?

Molteplicità: centralizzazione = autorganizzazione: istituzionalizzazione

Riconosciamo insomma tutto il potenziale creativo di quello che ancora non stiamo vivendo ma che potremo se lo vorremo. In che modo intendiamo opporci a questo sfregio annunciato: tenendo in piedi la stessa logica che vige nelle caserme, o piuttosto disertandola? Nel lottare vogliamo fare nostra quella centralizzazione delle decisioni che subiamo e che porta una verde vallata (o le città dello Stretto) a diventare un cantiere di devastazione da un giorno all’altro? Pensiamo sia più giusto e intelligente riconoscere che nessuna “via” ha la certezza della propria efficacia, eppure solo la via legale sembra l’unica contemplata. Non è la sola possibile, ma per fare emergere le altre- e un’etica della molteplicità delle forme di opposizione- occorre costruire spazi auto-organizzati di discussione. Ne abbiamo la capacità, facciamolo. Molti modi, un solo orizzonte: libertà e autodeterminazione!

 

War is cool? Di poligoni militari e di isole colonie

E’ dell’otto maggio, casualmente (di quella casualità sorretta dalla velocità e necessità di militarizzare l’isola e l’intera società) lo stesso giorno in cui il governo ha finanziato il ponte sullo Stretto con 4,5 mld€, la sigla dell’accordo tra i sindaci di Gangi, Nicosia, Sperlinga, Ministero della Difesa, e Comandante Generale della Brigata Aosta, che prevede che il territorio dei suddetti comuni diventi un hub per le esercitazioni militari. Un tassello in più nel mosaico della Sicilia come piattaforma e colonia militare, è stato messo da questi bravi e solerti (nei confronti dello Stato e della Nato) sindaci.

Di considerazioni se ne potrebbero fare e se ne faranno. Qui basta una soltanto: non bisogna essere a priori dei sostenitori della diserzione e del sabotaggio delle guerre degli Stati per vedere la putrefazione da stato terminale della nostra organizzazione sociale incarnata da questi personaggi da sottobosco del potere (i sindaci) che un giorno sono alla fiera del turismo in veste di rappresentanza del borgo più bello di Italia e lo stesso giorno, solo qualche minuto più tardi, acconsentono a fare scorazzare da 100 a 1000 militari sul territorio.
Un articolo di Antonio Mazzeo
Due note a margine.
Il poligono logistico-addestrativo che vorrebbero fare sorgere tra Madonie e Nebrodi, dicono prenderebbe il posto di quello che è stato operativo fino ad ora a Punta Bianca in provincia di Agrigento. Punta Bianca è stato e sarà operativo probabilmente ancora (l’accordo tra Esercito e Regione è stato prorogato di altri cinque anni) ma a livello di informazione, gestita in ossequio agli interessi militaristi, questo dato viene rimosso. Sembra che l’esercito stia adottando una strategia comunicativa ben precisa e intelligente: celebra la vittoria fittizia dei comitati territoriali dell’agrigentino per suggerire una via e una postura di opposizione anche ai montanari e a chi verrà in futuro (“non qui tra le nostre case, qualche chilometro più in là”). Così facendo sul piano etico e politico si perde la possibilità di una critica senza se e senza ma alla guerra, al militarismo e al baratro in cui gli Stati e la loro organizzazione della potenza ci stanno portando a livello globale. Una critica di questo genere, e soprattutto il suo inveramento pratico e diffuso, è lo scenario che li spaventa di più perché connette privato e universale, locale e globale, pratico e utopico.
Un video e il suo mondo
La preparazione della guerra è già guerra- ai territori e all’immaginario: un’unità geografica densa di vita irriducibile diventa un “poligono”, schiacciamento del mondo all’astrattezza della cartografia militare; è ricatto che schiaccia- o obbedisci o chissà- rivolto agli individui e alle collettività; è eliminazione del molteplice all’imperativo unificante del combattimento- dalle unicità degli individui all’uniforme del tutti in divisa, dalle diverse possibilità d’uso dei territori alla “zona militare limite invalicabile”.
Questo video mostra tutto ciò. Unica nota stonata, il mezzo utilizzato per le riprese, il drone, è esso stesso uno artefatto militare diventato merce per civili: un altro segno della presa totalitaria del militarismo sulle nostre vite; un altro segno che indica che uscire dalla necessità della guerra significa uscire dalla cosmovisione che la ispira.
Questo video è un appello dal futuro agli e alle abitanti madoniti e dei Nebrodi, o ci si organizza per lottare contro questo ennesimo sfregio oppure la sorte di Punta Bianca sarà la sorte delle centinaia di ettari in montagna.
Senza cadere vittime dell’alibi del numero e dei venti freddi dell’impotenza. “In mille quando si è in mille, in cento quando si è in cento, in quattro quando si è in quattro, da soli se è necessario”

Niscemi 25 Febbraio. La nostra presenza contro ogni Stato contro ogni Guerra

Riportiamo di seguito  l’intervento letto al microfono da una compagna e il volantino distribuito durante il corteo.

Quando abbiamo saputo del rigetto della richiesta di annullamento del regime di 41bis per Alfredo, è stato come se tutto il dolore e la rabbia, non solo di questi mesi, ma di una vita, di tutte le vite schiacciate nei secoli di civile dominio e devastazione si condensassero in un nodo, e ci separassero per un momento l’uno dall’altro: così funziona il dolore forse, ci investe e prende la sua forma in ognuno, si prende le parole, si prende lo spazio.

E allora si chiamano gli altri, si vogliono sentire le voci amiche, i fratelli e sorelle i cui cuori conosciamo. Così abbiamo fatto, abbiamo sentito i compagni nostri, e poi il silenzio.

E nel silenzio ci siamo guardati, e quando ho visto le lacrime negli occhi del mio amore, del mio compagno, ho pensato che compassione e compagno sono parole sorelle, che non è possibile separare; per la stessa ragione, i signori di Stato, coloro che detengono il potere di imprigionare, torturare e uccidere non conoscono compassione.

Se così fosse, non potrebbero sopportare il peso dei morti nelle loro guerre, quello di ogni prigioniero torturato e ucciso nelle loro galere, tutte le vite spezzate di chi chiamano pazzo, dei suicidi, dei morti uccisi da una medicina sempre più disumana, nei luoghi ancora più disumani che sono gli ospedali. Non potrebbero sopportare il sussurro dei fantasmi di chi è morto solo, senza il conforto di un volto caro, senza un rito di saluto, durante la cosiddetta pandemia.

Quando scriveranno sui giornali di queste ed altre giornate di lotta, diranno “erano in duecento, in cinquecento, erano duemila”.

Loro vedranno solo i nostri corpi vivi: noi sappiamo e sapremo di essere una moltitudine; tutta la schiera infinita di quei morti, e dei morti nelle stragi e dei morti per tumore perché si abita a Lentini, devastata dalle megadiscariche, o a Gela, o ad Augusta devastate da Eni, o a Niscemi, con le antenne della base che ammalano e uccidono corpi adulti e bambini e le cui onde funeste arrivano lontano in forma di bombe e droni. Oggi e sempre camminiamo con i nostri morti ancora invendicati, col dolore degli oppressi in cuore: questa è la nostra forza e la forza della nostra lotta.

Se non ora mai!

Contro la guerra degli Stati, mai più vittime mai più spettatori!

Da un anno a questa parte sui media non si fa che parlare di guerra. Giornalisti, esperti e commentatori sembrano stupiti dall’ultima escalation bellica sul suolo ucraino e parlano di un ritorno indietro delle lancette della storia: se li pensassimo in buonafede verrebbe da chiedersi come abbiano fatto a non vedere la guerra ininterrotta e sistematica che gli Stati della NATO muovono nelle periferie dell’impero.

Ma oggi vorremmo parlare di un altro tipo di guerra, di quella che ogni Stato necessariamente muove contro gli abitanti dei territori sotto il proprio controllo: se, infatti, lo Stato è il detentore del monopolio della violenza legittima, la sua stessa esistenza non è altro che una dichiarazione di guerra contro chiunque, per necessità o per scelta, non viva secondo i canoni e i ritmi imposti dalla produzione e dal consumo.

Negli ultimi anni in questo Paese abbiamo assistito a un acuirsi della violenza statuale contro sfruttati e oppressi e ad un affinamento dei mezzi con cui viene portata avanti la guerra ai poveri. Sono stati istituiti strumenti quali il DASPO urbano che serve a espellere la marginalità dalle città vetrina; abbiamo visto la morte di tre studenti durante l’alternanza scuola lavoro e gli arresti domiciliari per quattro studenti medi che hanno protestato contro questa nuova forma di sfruttamento. C’è stato l’innalzamento fino a sei anni della reclusione per il reato di blocco stradale e due lavoratori della logistica hanno trovato la morte investiti dai camion durante i picchetti. A Lodi i padroni della FedEx hanno pagato dei mazzieri per picchiare gli scioperanti, mentre nel mediterraneo e nei luoghi di lavoro migliaia di dannati della terra trovano la morte ogni anno. Nel carcere di Modena, l’8 marzo 2020, è avvenuta la mattanza che ha portato alla morte di 13 persone e il 2022 nelle galere italiane sarà ricordato come l’anno dei record: ben 84 suicidi.

Viene allora da chiedersi: questa non è forse guerra?

Certo che è una guerra e per fortuna c’è anche chi, fra le fila degli oppressi, non abbassa il capo e reagisce a tutto ciò e per questo viene represso. La punta dell’iceberg della repressione degli ultimi anni è rappresentata dal caso di Alfredo Cospito: un compagno anarchico condannato all’ergastolo ostativo per strage politica perché accusato di aver messo due ordigni a basso potenziale davanti ad una caserma degli allievi dei carabinieri che non hanno causato né morti né feriti e che dal maggio 2022 si trova nel regime del 41bis, un vero e proprio sistema di tortura.

Il 41bis nacque come dispositivo emergenziale negli anni ’90 contro i detenuti appartenenti ad associazioni mafiose, ma dai primi anni del 2000 fu esteso anche ai reati di terrorismo, aprendo così i battenti anche per quattro compagni delle BR-PCC (di cui una si è tolta la vita). Questo ci mostra come ogni emergenza si trasformi nella nuova normalità e come ogni nuovo dispositivo repressivo, se non contrastato al suo nascere, verrà esteso a sempre più persone.

Alfredo da più di quattro mesi ha intrapreso uno sciopero della fame ad oltranza contro questo abominio repressivo e ha ricevuto la solidarietà dalle azioni e dalle mobilitazioni susseguitesi in Italia e nel mondo. Crediamo necessario porsi al suo fianco perché ovunque ci sia resistenza a questo mondo ridotto a una mega macchina produttrice di oppressione e miseria nasce una scintilla di libertà e umanità che va conservata e diffusa.

Alfredo, con la sua lotta, ci ha dimostrato la superiorità etica e morale dell’individuo in lotta rispetto al sadismo gregario del funzionario e del cittadino e, qualunque sarà l’esito del suo sciopero della fame, l’esempio della sua dignità dovrà guidarci nella lotta contro l’oppressione che viviamo nelle nostre quotidianità per la costruzione di un mondo di liberi e uguali in cui le qualità umane possano trovare la loro massima espressione. Dall’altro lato della barricata abbiamo uno Stato che accusa chi scende in strada di essere un terrorista perché in realtà è terrorizzato dalla breccia che Alfredo Cospito ha aperto all’interno della società. Questo stesso Stato ieri, per bocca dei giudici della Cassazione, lo ha condannato a morte, rigettando la richiesta di revoca del 41bis fatta dal suo legale. Non ci sono parole adatte ad esprimere la rabbia e lo sdegno che ci agita in questi istanti, né le parole da sole ci salveranno dalla ferocia dei piani di guerra degli Stati. Sarà un intreccio indimenticato di tentativi rivoluzionari fatti e non fatti, di abbracci e di lutti, di istinto, sogni e ragioni, da cui distilleremo le nostre azioni per una vita senza eserciti, Stati, carceri e carcerieri.

La democrazia ha sempre una strage alle spalle

La democrazia ha sempre una strage alle spalle

E u me cori

dopu tant’anni

è a Purtedda

è ‘nta i petri

è ‘nto sangu

di cumpagni

ammazzati

Ignazio Buttitta

Io non ci sto e non mi arrendo, e continuerò il mio sciopero della fame per l’abolizione del 41 bis e dell’ergastolo ostativo fino all’ultimo mio respiro, per far conoscere al mondo questi due abomini repressivi di questo paese.”

Alfredo Cospito

Dichiarazionedel 1 dicembre2022

In Sicilia anche la geografia umana è capace di ironia amara, di giochi di luci e di ombre.

Portella della Ginestra è a venti chilometri, quindici minuti in macchina, dal centro di Palermo. La città più grande della Regione, capitale e palcoscenico del potere politico di ieri e di oggi, ha alle spalle il luogo della prima strage di poveri dell’Italia repubblicana: 11 morti, tra cui 3 bambini, 30 feriti gravi. Se a sparare furono quelli della banda Giuliano, il movente fu la convergenza di interessi delle classi dominanti e la ragion di Stato. La stessa ragion di Stato che ha fatto fuori Pisciotta per salvare il buon nome di Scelba e di Mattarella, come se bastasse ammazzare un uomo per eliminare la memoria collettiva che gli oppressi e le oppresse mantengono dei loro massacratori e affamatori.

La vicenda di Alfredo, oltre ad insegnarci la differenza tra la dignità di un individuo in lotta e la barbarie civilizzata delle burocrazie dell’annientamento, ci ricorda come il dominio sia ancora quell’impasto di ferocia, menzogne, idiozia.

Si illudono di uccidere un anarchico e, con questo, l’anarchia (ossia la possibilità stessa che la ribellione venga sognata… e prima o poi realizzata); si illudono che siano in molti a credere ancora alla guerra santa dello Stato contro la Mafia, mentre chi sta in basso sa come l’unica lotta vera è quella dei ricchi contro i poveri, e viceversa; pretendono di commuovere milioni di persone portate sul lastrico dalle stesse banche e finanza di cui degli arrabbiati attaccano le sedi; si illudono di potere salvare capre e cavoli con un TSO ad Alfredo, come se per tutti la vita sia solo un ammasso di cellule vive, costrette all’ubbidienza; si illudono che lo spettacolo delle apparenze funzionerà per sempre, anche se tutto il teatro sociale ha una strage alle spalle.

Possono perpetrare mille eccidi e mille ancora, ne hanno tutti i mezzi, ma la dignità di Alfredo è un monumento a fronte della pochezza degli statisti, è un fuoco nelle coscienze che non si spegne.

Contro 41 bis, ergastolo ostativo, TSO! Contro la società galera!

Meglio un giorno da Cospito che mille da Nordio!

La solidarietà si fa classe pericolosa

testo del volantino distribuito a Palermo, al presidio del 4 febbraio contro il 41 bis, il carcere e in solidarietà ad Alfredo a 108 giorni dall’inizio dello sciopero della fame.

La solidarietà si fa classe pericolosa

Sul corpo di Alfredo, la cui vita è appesa a un filo, sulla pelle di questi giorni, si sta consumando una battaglia di lungo corso, tanto drammatica nei suoi effetti quanto monopolizzata dalla falsità delle dichiarazioni ufficiali. Quello che lo Stato, coi suoi fascisti al governo (ma sarebbe stato lo stesso se a governare ci fossero stati i democratici), si illude di liquidare una volta per tutte è la ribellione contro il Sistema e il suo fatto fondamentale: la solidarietà cosciente che ne è presupposto e fine. La libertà è il crimine che contiene tutti gli altri, per questo il coro rapace dei giornali e della politica vede nelle vetrine frantumate, nelle auto in fiamme, nei cortei non autorizzati, in tutti i segni della dignità e della vicinanza ad Alfredo che irrompono nella quotidianità del terrore, solo teppismo e criminalità. Il motivo per cui ci si indigna dice qualcosa di chi si è: per i servi del potere è più grave il danneggiamento delle cose che mettere a morte degli esseri viventi, è strage un ordigno senza morti né feriti e non la lunga scia di sangue che Stato, servizi segreti e funzionari in doppio petto hanno steso nel corso della storia italiana.

Su Portella della Ginestra, Piazza Fontana, Piazza della Loggia, stazione di Bologna, fino alle stragi di Capaci, su tutte le stragi vere, incombe l’ombra indicibile dello Stato e dei suoi apparati.

La guerra dichiarata dallo Stato agli anarchici e alle anarchiche e a chiunque lotti oggi è la declinazione attuale di quella di lungo corso che le classi dominanti conduconocontro gli oppressi e le oppresse dall’unità d’Italia.

Per lo Stato, il movimento anarchico e le altre correnti rivoluzionarie incarnano due peccati: il mantenimento della memoria delle classi subalterne e la coscienza che non ci si può liberare da un dominio che si regge su eserciti, prigioni, logica del terrore, soltanto con battaglie di opinione e raccolta firme.

La ferocia di questa logica si accompagna al pragmatismo nell’affrontare gli scenari di crisi. La guerra Nato/ Russia che giorno dopo giorno rischia di diventare mondiale, vede nell’Italia un suo snodo cruciale con il Muos, Sigonella, e i depositi di armi nucleari; contemporaneamente, l’Italia è il paese più instabile socialmente, specie con il caro-vita e l’inflazione che mordono le condizioni di sopravvivenza di milioni di persone, soprattutto al Sud. Il 41bis, l’ergastolo ostativo, le associazioni mafiose a pioggia sulle colonie meridionali, sono uno strumento perfetto di controllo e repressione della popolazione, per fare in modo che rabbia e intelligenza non si incontrino, magari decidendo di disturbare le preziose servitù militari ed energetiche. Per queste ragioni questi istituti non si devono toccare: ben al di là dei pericolosi anarchici conosciuti dalle questure (come ci ricordano tutti i giornali), è alla folla sconosciuta degli spossessati che si indirizza il messaggio di guerra. Si rassegnino pure, sono l’ingiustizia e l’infelicità lepiùpotenti istigazioni a delinquere.

nemiche e nemici delle galere