Sull’hub logistico-addestrativo, di isole colonie e della rivolta sempre possibile

Riportiamo un breve racconto di quello che sta succedendo nell’entroterra di montagna siciliano, perché ci sembra che i fatti riportati “parlino” del punto di saldatura tra locale e globale e, al contempo, illuminino, nell’utilizzare l’isola a mo’ di colonia, quella fusione di interessi tra stato e capitali che va sotto il nome di apparato militare-tecnoindustriale.
E’ dell’8 maggio, casualmente (di quella casualità sorretta dalla velocità e necessità di militarizzare l’isola e l’intera società) lo stesso giorno in cui il governo ha finanziato il ponte sullo Stretto con 4,5 mld€, la sigla dell’accordo tra i sindaci di Gangi, Nicosia, Sperlinga, Ministero della Difesa, e Comandante Generale della Brigata Aosta, che prevede che il territorio dei suddetti comuni diventi un hub per le esercitazioni militari. Si tratta di un’area di 34 chilometri quadrati, 3400 ettari, dove risiedono diversi abitanti e sono site aziende agricole e zootecniche: se costruito sarebbe tra i poligoni addestrativi più grandi di Italia. Un tassello in più nel mosaico della Sicilia come piattaforma e colonia militare, è stato messo da questi bravi e solerti (nei confronti dello Stato e della Nato) sindaci.

madoniepress.it/2023/05/08/un-hub-logistico-e-addestrativo-dellesercito-nei-territori-di-gangi-nicosia-e-sperlinga/?refresh_ce

Se già l’articolo riportato è una stranezza in sé (perché tanto strombazzamento?), leggendolo se ne nota subito un’altra: i generali annunciano a mezzo stampa che renderanno i territori più sicuri, citano la possibilità di prevenzione anti- incendio, provano a giocare di astuzia comunicativa. In questa area, infatti, sono divampati incendi terribili durante le due estati precedenti, incenerendo e facendo rischiare il lastrico a diverse aziende agricole: una “calamità”, quella dell’incendio, che fa tanto il gioco delle volontà coloniali del militarismo italiano che quello degli interessi energetici/estrattivi (che guardano all’isola, all’entroterra in particolare, come una miniera d’oro e agli isolani che insistono a viverci come degli ostacoli da rimuovere).
L’operazione comunicativa comunque fallisce miseramente e cominciano a sorgere nel territorio interessato malumori e comitati contro, in una febbre auto-organizzativa che da queste parti non si vedeva da decenni. Per tutta risposta, per tentare di spegnere l’incendio sociale prima che sia troppo tardi vengono indetti in tutti e tre i paesi dei consigli comunali aperti per il 25 maggio. Lo stesso giorno, le giunte di due dei tre paesi, Gangi e Nicosia, si ritirano dall’accordo (dopo una giornata di riunione presso la sede palermitana del Comando Generale dell’Esercito, Divisione Sicilia). Non si ritira il terzo paese, Sperlinga, il meno popolato, il meno combattivo nell’opporsi e quello in cui ricadrebbe la quota maggiore di territorio destinato all’hub.
Ci si organizza tra pochi/e compagni/e per andare a vedere che aria tira, distribuire un volantino di incitamento ad una lotta fuori e contro le istituzioni e il recupero politico, approfittandone anche per attacchinare un manifesto sempre sul tema. A Nicosia il consiglio comunale viene annullato a seguito della revoca dell’autorizzazione, ne approfittiamo per volantinare e attacchinare, verificando la contrarietà, dei pochi con cui parliamo, all’invasione militare. Andiamo allora nella vicina Gangi.
I carabinieri prima ci identificano e poi, in piena seduta di consiglio comunale, pretendono di perquisire la borsa di una compagna con dentro i nostri materiali: ne nasce un parapiglia che ci sembra sortisca più l’effetto della curiosità verso di noi che non quello desiderato dello stigma.
A consiglio finito torniamo tra la gente, riceviamo solidarietà e nascono interessanti discussioni a partire dal volantino distribuito.
Al di là della ridicolaggine degli avvenimenti, si può leggere l’ansia per la riuscita dei loro propositi: il piano è molto inclinato e scivoloso, stavolta per loro. La mentalità e il radicamento territoriale degli allevatori non sono un buon presupposto, ci mancavano solo gli anarchici!
Il prefetto, il giorno successivo dirama un comunicato rivolto ai Sindaci, invitandoli a evitare di mettere in campo qualsiasi azione che possa provocare situazioni di tensione con la popolazione. Risultato: la prima visita di alcuni reparti della Brigata Aosta viene sospesa. Insomma, lo sanno anche loro: la partita è aperta.
Dal canto nostro ci preme sottolineare come la Sicilia sia sempre più lo spazio geografico in cui si addensano – fino a quasi fare scomparire i confini tra di essi – i dispositivi necessari al mantenimento della società del dominio. Le frontiere, i due fronti di guerra (interno ed esterno), la tutela delle infrastrutture energetiche estrattive: per tutto questo servono i militari. Eppure è proprio per questa complessa rete di interessi, e perché la violenza dell’intreccio guerra e impoverimento si fa sempre più visibile, che è anche possibile toccare un nervo scoperto e suscitare la rabbia invece che l’accondiscendenza.

 

Segnaliamo un articolo di Antonio Mazzeo sull’hub

antoniomazzeoblog.blogspot.com/2023/05/poligoni-di-guerra-in-sicilia-lesercito.html

 

 

Riportiamo il testo del volantino distribuito in occasione dei consigli comunali aperti di Gangi e Nicosia (poi revocato) aventi per oggetto l’hub logistico addestrativo dell’Esercito Italiano, e un manifesto contro la guerra e gli eserciti.

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Vademecum per gli amici della lotta

È inutile negarlo, la notizia dell’esproprio militare di un pezzo enorme di territorio, che per molti è spazio di vita, ci getta nello smarrimento. Si scatena un miscuglio di sentimenti, cominciano l’amarezza e la rabbia a cui rischia di subentrare lo sconforto. La lotta che è appena iniziata e che dobbiamo continuare è anche una battaglia perché lo smarrimento non si trasformi in sconforto. Questa lotta si può vincere, questa lotta si deve vincere.

Ma come? Ad esempio prendendo spunto dall’esperienza, dai successi e dagli errori, di altre collettività che si trovano e si sono trovate di fronte a sfide (e sfighe) simili, a partire da Niscemi e dalla Sardegna, quest’ultima da decenni teatro di uno scontro tra l’invasione militare e la volontà di autodeterminazione di una buona fetta di società sarda.

Carpe diem e conoscenza del territorio

Spazio e tempo dei territori tornano a contare. Se il tempo è dalla parte di chi ha più soldi e potere, e quindi più capacità di muovere mezzi e uomini per la costruzione della cittadella militare, lo spazio è dalla parte degli abitanti, di chi ha coltivato il proprio sguardo sul dorso dei secoli e non su quello dei cannoni. Lo spazio, la terra, il territorio, sono le questioni materiali in gioco: usare il vantaggio di conoscenza su di essi darà più tempo a chi lotta per difenderli, togliendolo a chi avanza per schiacciarli. È più facile impedire un’opera non voluta quando non è ancora costruita che abolirla o distruggerla quando sarà operativa.

Azione vs attesa

Per la stesse ragioni è necessario organizzarsi, non attendere che qualcun altro risolva i problemi di tutti, magari gli stessi soggetti che hanno firmato contenti la consegna del territorio. E chi altro merita la fiducia dell’attesa, chi mai può avere la forza di fermare il più freddo dei freddi mostri, se non l’umanità comune che ha tutto l’interesse a farlo? D’altro canto chi vuole attendere può farlo senza pretendere che lo facciano tutti.

Legalitarismo vs autidifesa della vita

Ecco un altro tasto dolente. Lo smarrimento è il sentimento con cui si accompagna la scoperta che lo Stato non è dalla nostra parte, anzi che è disposto a sacrificare tutti i suoi “figli” per i suoi piani di dominio. Su questo punto, a livello di coscienza si gioca una partita fondamentale. Cosa fare? Rinnovare il contratto con l’illusoria fiducia nello Stato protettore o rescinderlo e coltivare il senso del giusto connettendolo alla sensibilità e all’intelligenza propria e di chi condivide la nostra stessa sorte? Noi propendiamo per la seconda. Perché chi ha un senso del giusto autonomo da quello dello Stato, sa anche distinguere tra violenza di oppressione e autodifesa della vita.

Corporeità vs digitalizzazione

Non c’è solo il pericolo e lo smarrimento, dietro ogni crisi si cela anche un’occasione: di rinascita, di reinvenzione delle forme di vita, di emersione di qualcosa di diverso. Seppure anche questo elemento di piacere della lotta sia mischiato ad altri stati è bene saperlo vedere, nominare e sfruttarne il potenziale. Cosa dice la febbre da messaggi nei gruppi whatsapp che ha preso tutti negli ultimi giorni, se non dell’affacciarsi di una possibilità e della sua cattura tecnologica? Quel piacere di affrontare problemi reali e di lanciarsi sul lato comune dell’esistenza va ascoltato e approfondito. Consegnarlo alla messaggistica è tanto veloce quanto superficiale. Abbiamo dimenticato cosa può l’incontro dei corpi con uno scopo comune? Davvero preferiamo gli schermi ad un’assemblea in piazza, alla costruzione di un presidio permanente di lotta, alla condivisione dei pasti e dei sogni?

Molteplicità: centralizzazione = autorganizzazione: istituzionalizzazione

Riconosciamo insomma tutto il potenziale creativo di quello che ancora non stiamo vivendo ma che potremo se lo vorremo. In che modo intendiamo opporci a questo sfregio annunciato: tenendo in piedi la stessa logica che vige nelle caserme, o piuttosto disertandola? Nel lottare vogliamo fare nostra quella centralizzazione delle decisioni che subiamo e che porta una verde vallata (o le città dello Stretto) a diventare un cantiere di devastazione da un giorno all’altro? Pensiamo sia più giusto e intelligente riconoscere che nessuna “via” ha la certezza della propria efficacia, eppure solo la via legale sembra l’unica contemplata. Non è la sola possibile, ma per fare emergere le altre- e un’etica della molteplicità delle forme di opposizione- occorre costruire spazi auto-organizzati di discussione. Ne abbiamo la capacità, facciamolo. Molti modi, un solo orizzonte: libertà e autodeterminazione!