Appunti libertari sugli incendi in Sicilia e Sardegna

Abbiamo prodotto un opuscolo sugli incendi, contenenti due testi. A parte “il problema non è il fuoco” (scritto da noi e che potete leggere nel post qui sotto), contiene “Cenere e macerie”, testo di un compagno sardo uscito sulle pagine di Nurkuntra qualche anno fa.

Per chi volesse delle copie cartacee, scriva a: scirocco@autoproduzioni.net. Chiediamo 2€ a copia per chi ne prende almeno 3 più 1,5 € per la spedizione.

Qui si può leggere e scaricare l’opuscolo in versione web: Opuscolo Incendi

Incolliamo qui sotto l’introduzione.

Lo sappiamo, sul tema degli incendi non bastano due scritti. Eppure, come per tutte le imprese ardue che sia una passeggiata impervia, un lavoro gravoso, o il mantenere una prospettiva di liberazione in questi tempi di pensiero unico dell’ubbidienza si tratta di cominciare.

Come successo in un’altra occasione editoriale (Nc’at murigu 2020), ma quella volta per iniziativa di compagni sardi, abbiamo scelto, sulla questione, di affiancare questi due scritti, uno nostro siciliano e uno sardo, appunto.

I motivi, lo scopriranno tanto i lettori sardi quanto quelli siciliani, sono diversi. Innanzitutto perché si integrano bene, l’uno illumina qualcosa che nell’altro manca e viceversa. E questo dice già qualcosa d’altro: che a fronte delle differenze – sociali, economiche, culturali – sulla questione-incendi le analogie tra le due isole sono molte. Non solo in riferimento alle cause storiche che si intrecciano con le sorti delle comunità e delle economie locali ma anche in rapporto al processo, ugualmente storico, che quelle comunità ed economie ha distrutto. Quella gestione burocratica statuale dei boschi e dei vasti entroterra isolani che, in Sicilia come in Sardegna, ha significato anche un laboratorio di gestione delle popolazioni, un sofisticato dispositivo di distruzione dell’autonomia di vita e di espropriazione del territorio agli abitanti a mezzo stipendio (precario e “garantito” dai vari ceti politici poi diventati pletora sindacale). Tutta questa storia, accennata nello scritto di Nikola e approfondita in altri scritti di Nurkuntra, ci insegna che la diade statocapitale ha potuto modificare antropologicamente collettività e singoli abitanti (plasmandoli all’uso della società del dominio) in primo luogo mutando il loro rapporto intimo ed esteriore con l’ambiente.

Inoltre, lo scritto di Nikola sulla Sardegna, si dilunga più approfonditamente sulla storia autoctona, contadina e pastorale, degli incendi. Nel fare ciò questo compagno rivela nella pratica una certa etica del radicamento; il riferirsi e il sentirsi parte di una tradizione, non significa accettare tutto quello che da lì viene acriticamente, ma semmai il contrario: farla vivere, significa esercitare un’attitudine attiva nella dialettica tra ciò che è individuale e ciò che precede l’individualità. Un passaggio di sguardo, un certo “uso” delle storie che ci fanno, a cui siamo legati e che erano emersi durante la due giorni in Sicilia su Sud, Civiltà contadina, cosmovisioni e rivoluzione.

Per ultima, qualcosa che lega con discrezione, facendo da sfondo, i due scritti. A scriverli sono stati due compagni della montagna, barbaricina (Sardegna) e madonita (Sicilia). A dimostrare che secoli e millenni di dominazione non possono sopprimere la voglia di libertà e di una vita radicalmente altra, (anche) perché i territori regalano agli sguardi abitanti dei cocciuti sovversivi le tracce delle lotte che ci hanno sì visti sconfitti ma non (ab)battuti. E anche che la sopravvivenza delle storie carsiche dei territori può realizzarsi solo nelle lotte di liberazione, nell’esperienza individuale e collettiva della vera vita.

Per la Terra, per la Libertà!