Epifania d’Occidente ovvero le due facce dell’orrore

Ecco le due notizie del giorno dall’enorme campo di sterminio in cui Israele sta trasformando Gaza.
La prima attiene al terreno della prassi genocidaria, la seconda alla dimensione linguistica,  cioè delle politiche linguistiche che è giusto tenere di fronte all’annientamento di un’intera popolazione. Protagonisti della prima sono i fascisti israeliani, mentre i protagonisti della seconda sono personalità di sinistra – o, come si usa dire, della “società civile”. Essendo i primi, come sempre, degli estatici della morte, nemici eccitati degli oppressi e dell’umanità e della vita, tralasceremo di occuparcene: con gli assassini, degli assassini, non si discute. Dei secondi e dei loro discorsi, anche qui come sempre, occorre occuparsene, perché il loro mestiere di produrre finta critica e gettare “fumo negli occhi” è tanto proficuo per il sistema quanto dannoso per l’umanità oppressa. Intanto un fatto: uno dei firmatari, forse il più eminente, è un informatico che ha sviluppato algoritmi e lavorato per la stessa intelligenza artificiale che è protagonista della guerra in corso.
È chiaro anche in questo caso come i personaggi di sinistra, in una società in cui la guerra è un fatto totale, sono assassini dal volto pulito per il semplice fatto di volere continuare a “sedere in società” rimuovendone il suo fatto fondamentale: la guerra appunto. Con un valore aggiunto, per il Sistema, che è la finta critica: se nella vita di tutti i giorni lavoro all’infrastruttura tecnica che aumenta la capacità distruttiva della guerra e, dopo tre mesi di massacri, firmo un appello “contro lo sdoganamento linguistico del genocidio”, faccio guerra all’intelligenza naturale (alla coscienza) di tutti e di ognuno. Eppure, anche se siamo di fronte a un enorme capacità di falsa coscienza dei soggetti in questione, c’è una parvenza di coerenza nel progetto: se la guerra è sempre più un affare di macchine intelligenti e di uomini macchina (cioè svuotati della loro intelligenza di specie) allora l’eccitamento fascista alla morte, l’incitamento allo sterminio, i discorsi esaltanti la pulizia etnica, sono vezzi obsoleti, da cavernicoli (1). Questa è la versione attuale del programma di sinistra del capitale occidentale: facciamo fare il lavoro sporco alle macchine, così potremo stare al lavoro nei bianchi dipartimenti in cui si progetta la fine dell’umano. (Non c’è miglior commento alla parabola di vita di Toni Negri di questo “manifesto della ragion tecnica applicata” che è la democrazia Israeliana)
Quello che i sinistri non potranno mai vedere – immersi come sono nella contraddizione che li costituisce – è che non c’è futuro per la ricerca della tecnoscienza fuori dall’impulso di morte alimentato dagli Stati e dagli eserciti; che, “raffreddato” e codificato in codici binari, è quello stesso spirito di morte che le macchine incorporano e sempre più incorporeranno grazie al lavoro di solerti ricercatori così inclini all’autoindulgenza etica.

L’unica coscienza vera e, con essa, l’unica possibilità di futuro è nella rivoluzione vista come opera di quegli umani che tirano il freno di emergenza del treno – in corsa verso l’abisso – che gli umani stessi hanno costruito (altri umani o il me stesso di qualche anno fa, poco importa). Ma nel frattempo, per restare umani, bloccare la normalità dello sterminio (dai carichi di materiale bellico alla percezione del “non ci riguarda”) sarebbe il minimo indispensabile.

1) Viene in mente Gunther Anders che col suo acume notava come l’esaltazione della violenza e della morte tipica dei fascisti fosse un esempio di “mimesi delle macchine”, un tentativo di imitarne la capacità distruttiva, di colmare sul campo della violenza il dislivello prometeico tra il mondo umano e quello tecnico.