War is cool? Di poligoni militari e di isole colonie

E’ dell’otto maggio, casualmente (di quella casualità sorretta dalla velocità e necessità di militarizzare l’isola e l’intera società) lo stesso giorno in cui il governo ha finanziato il ponte sullo Stretto con 4,5 mld€, la sigla dell’accordo tra i sindaci di Gangi, Nicosia, Sperlinga, Ministero della Difesa, e Comandante Generale della Brigata Aosta, che prevede che il territorio dei suddetti comuni diventi un hub per le esercitazioni militari. Un tassello in più nel mosaico della Sicilia come piattaforma e colonia militare, è stato messo da questi bravi e solerti (nei confronti dello Stato e della Nato) sindaci.

Di considerazioni se ne potrebbero fare e se ne faranno. Qui basta una soltanto: non bisogna essere a priori dei sostenitori della diserzione e del sabotaggio delle guerre degli Stati per vedere la putrefazione da stato terminale della nostra organizzazione sociale incarnata da questi personaggi da sottobosco del potere (i sindaci) che un giorno sono alla fiera del turismo in veste di rappresentanza del borgo più bello di Italia e lo stesso giorno, solo qualche minuto più tardi, acconsentono a fare scorazzare da 100 a 1000 militari sul territorio.
Un articolo di Antonio Mazzeo
Due note a margine.
Il poligono logistico-addestrativo che vorrebbero fare sorgere tra Madonie e Nebrodi, dicono prenderebbe il posto di quello che è stato operativo fino ad ora a Punta Bianca in provincia di Agrigento. Punta Bianca è stato e sarà operativo probabilmente ancora (l’accordo tra Esercito e Regione è stato prorogato di altri cinque anni) ma a livello di informazione, gestita in ossequio agli interessi militaristi, questo dato viene rimosso. Sembra che l’esercito stia adottando una strategia comunicativa ben precisa e intelligente: celebra la vittoria fittizia dei comitati territoriali dell’agrigentino per suggerire una via e una postura di opposizione anche ai montanari e a chi verrà in futuro (“non qui tra le nostre case, qualche chilometro più in là”). Così facendo sul piano etico e politico si perde la possibilità di una critica senza se e senza ma alla guerra, al militarismo e al baratro in cui gli Stati e la loro organizzazione della potenza ci stanno portando a livello globale. Una critica di questo genere, e soprattutto il suo inveramento pratico e diffuso, è lo scenario che li spaventa di più perché connette privato e universale, locale e globale, pratico e utopico.
Un video e il suo mondo
La preparazione della guerra è già guerra- ai territori e all’immaginario: un’unità geografica densa di vita irriducibile diventa un “poligono”, schiacciamento del mondo all’astrattezza della cartografia militare; è ricatto che schiaccia- o obbedisci o chissà- rivolto agli individui e alle collettività; è eliminazione del molteplice all’imperativo unificante del combattimento- dalle unicità degli individui all’uniforme del tutti in divisa, dalle diverse possibilità d’uso dei territori alla “zona militare limite invalicabile”.
Questo video mostra tutto ciò. Unica nota stonata, il mezzo utilizzato per le riprese, il drone, è esso stesso uno artefatto militare diventato merce per civili: un altro segno della presa totalitaria del militarismo sulle nostre vite; un altro segno che indica che uscire dalla necessità della guerra significa uscire dalla cosmovisione che la ispira.
Questo video è un appello dal futuro agli e alle abitanti madoniti e dei Nebrodi, o ci si organizza per lottare contro questo ennesimo sfregio oppure la sorte di Punta Bianca sarà la sorte delle centinaia di ettari in montagna.
Senza cadere vittime dell’alibi del numero e dei venti freddi dell’impotenza. “In mille quando si è in mille, in cento quando si è in cento, in quattro quando si è in quattro, da soli se è necessario”