Niscemi 25 Febbraio. La nostra presenza contro ogni Stato contro ogni Guerra

Riportiamo di seguito  l’intervento letto al microfono da una compagna e il volantino distribuito durante il corteo.

Quando abbiamo saputo del rigetto della richiesta di annullamento del regime di 41bis per Alfredo, è stato come se tutto il dolore e la rabbia, non solo di questi mesi, ma di una vita, di tutte le vite schiacciate nei secoli di civile dominio e devastazione si condensassero in un nodo, e ci separassero per un momento l’uno dall’altro: così funziona il dolore forse, ci investe e prende la sua forma in ognuno, si prende le parole, si prende lo spazio.

E allora si chiamano gli altri, si vogliono sentire le voci amiche, i fratelli e sorelle i cui cuori conosciamo. Così abbiamo fatto, abbiamo sentito i compagni nostri, e poi il silenzio.

E nel silenzio ci siamo guardati, e quando ho visto le lacrime negli occhi del mio amore, del mio compagno, ho pensato che compassione e compagno sono parole sorelle, che non è possibile separare; per la stessa ragione, i signori di Stato, coloro che detengono il potere di imprigionare, torturare e uccidere non conoscono compassione.

Se così fosse, non potrebbero sopportare il peso dei morti nelle loro guerre, quello di ogni prigioniero torturato e ucciso nelle loro galere, tutte le vite spezzate di chi chiamano pazzo, dei suicidi, dei morti uccisi da una medicina sempre più disumana, nei luoghi ancora più disumani che sono gli ospedali. Non potrebbero sopportare il sussurro dei fantasmi di chi è morto solo, senza il conforto di un volto caro, senza un rito di saluto, durante la cosiddetta pandemia.

Quando scriveranno sui giornali di queste ed altre giornate di lotta, diranno “erano in duecento, in cinquecento, erano duemila”.

Loro vedranno solo i nostri corpi vivi: noi sappiamo e sapremo di essere una moltitudine; tutta la schiera infinita di quei morti, e dei morti nelle stragi e dei morti per tumore perché si abita a Lentini, devastata dalle megadiscariche, o a Gela, o ad Augusta devastate da Eni, o a Niscemi, con le antenne della base che ammalano e uccidono corpi adulti e bambini e le cui onde funeste arrivano lontano in forma di bombe e droni. Oggi e sempre camminiamo con i nostri morti ancora invendicati, col dolore degli oppressi in cuore: questa è la nostra forza e la forza della nostra lotta.

Se non ora mai!

Contro la guerra degli Stati, mai più vittime mai più spettatori!

Da un anno a questa parte sui media non si fa che parlare di guerra. Giornalisti, esperti e commentatori sembrano stupiti dall’ultima escalation bellica sul suolo ucraino e parlano di un ritorno indietro delle lancette della storia: se li pensassimo in buonafede verrebbe da chiedersi come abbiano fatto a non vedere la guerra ininterrotta e sistematica che gli Stati della NATO muovono nelle periferie dell’impero.

Ma oggi vorremmo parlare di un altro tipo di guerra, di quella che ogni Stato necessariamente muove contro gli abitanti dei territori sotto il proprio controllo: se, infatti, lo Stato è il detentore del monopolio della violenza legittima, la sua stessa esistenza non è altro che una dichiarazione di guerra contro chiunque, per necessità o per scelta, non viva secondo i canoni e i ritmi imposti dalla produzione e dal consumo.

Negli ultimi anni in questo Paese abbiamo assistito a un acuirsi della violenza statuale contro sfruttati e oppressi e ad un affinamento dei mezzi con cui viene portata avanti la guerra ai poveri. Sono stati istituiti strumenti quali il DASPO urbano che serve a espellere la marginalità dalle città vetrina; abbiamo visto la morte di tre studenti durante l’alternanza scuola lavoro e gli arresti domiciliari per quattro studenti medi che hanno protestato contro questa nuova forma di sfruttamento. C’è stato l’innalzamento fino a sei anni della reclusione per il reato di blocco stradale e due lavoratori della logistica hanno trovato la morte investiti dai camion durante i picchetti. A Lodi i padroni della FedEx hanno pagato dei mazzieri per picchiare gli scioperanti, mentre nel mediterraneo e nei luoghi di lavoro migliaia di dannati della terra trovano la morte ogni anno. Nel carcere di Modena, l’8 marzo 2020, è avvenuta la mattanza che ha portato alla morte di 13 persone e il 2022 nelle galere italiane sarà ricordato come l’anno dei record: ben 84 suicidi.

Viene allora da chiedersi: questa non è forse guerra?

Certo che è una guerra e per fortuna c’è anche chi, fra le fila degli oppressi, non abbassa il capo e reagisce a tutto ciò e per questo viene represso. La punta dell’iceberg della repressione degli ultimi anni è rappresentata dal caso di Alfredo Cospito: un compagno anarchico condannato all’ergastolo ostativo per strage politica perché accusato di aver messo due ordigni a basso potenziale davanti ad una caserma degli allievi dei carabinieri che non hanno causato né morti né feriti e che dal maggio 2022 si trova nel regime del 41bis, un vero e proprio sistema di tortura.

Il 41bis nacque come dispositivo emergenziale negli anni ’90 contro i detenuti appartenenti ad associazioni mafiose, ma dai primi anni del 2000 fu esteso anche ai reati di terrorismo, aprendo così i battenti anche per quattro compagni delle BR-PCC (di cui una si è tolta la vita). Questo ci mostra come ogni emergenza si trasformi nella nuova normalità e come ogni nuovo dispositivo repressivo, se non contrastato al suo nascere, verrà esteso a sempre più persone.

Alfredo da più di quattro mesi ha intrapreso uno sciopero della fame ad oltranza contro questo abominio repressivo e ha ricevuto la solidarietà dalle azioni e dalle mobilitazioni susseguitesi in Italia e nel mondo. Crediamo necessario porsi al suo fianco perché ovunque ci sia resistenza a questo mondo ridotto a una mega macchina produttrice di oppressione e miseria nasce una scintilla di libertà e umanità che va conservata e diffusa.

Alfredo, con la sua lotta, ci ha dimostrato la superiorità etica e morale dell’individuo in lotta rispetto al sadismo gregario del funzionario e del cittadino e, qualunque sarà l’esito del suo sciopero della fame, l’esempio della sua dignità dovrà guidarci nella lotta contro l’oppressione che viviamo nelle nostre quotidianità per la costruzione di un mondo di liberi e uguali in cui le qualità umane possano trovare la loro massima espressione. Dall’altro lato della barricata abbiamo uno Stato che accusa chi scende in strada di essere un terrorista perché in realtà è terrorizzato dalla breccia che Alfredo Cospito ha aperto all’interno della società. Questo stesso Stato ieri, per bocca dei giudici della Cassazione, lo ha condannato a morte, rigettando la richiesta di revoca del 41bis fatta dal suo legale. Non ci sono parole adatte ad esprimere la rabbia e lo sdegno che ci agita in questi istanti, né le parole da sole ci salveranno dalla ferocia dei piani di guerra degli Stati. Sarà un intreccio indimenticato di tentativi rivoluzionari fatti e non fatti, di abbracci e di lutti, di istinto, sogni e ragioni, da cui distilleremo le nostre azioni per una vita senza eserciti, Stati, carceri e carcerieri.