TORRI E TERRITORI IN TEMPO DI CATASTROFI
Quando la signora Glù dalla più alta torre panoramica gettò lo sguardo verso il basso, dalla strada sottostante, simile a un minuscolo giocattolo ma riconoscibile inequivocabilmente dal cappotto, sbucò suo figlio; e, un secondo dopo, questo giocattolo venne travolto e distrutto da un autocarro rassomigliante anch’esso a un giocattolo- comunque la faccenda si sbrigò a malapena nell’arco di un istante di irreale brevità, e il tutto si svolse solamente fra giocattoli. “Io non vado giù!”, urlò a quel punto la signora Glù, rifiutandosi di scendere le scale, “io non abbandono la torre! Lì sotto potrei disperarmi!”
Gunther Anders, Lo sguardo dalla torre
“Una superficie di più di 800 mq, di cui 360 utilizzati per un piazzale, e un volume dI quasi 4000 mc di cemento. Per la sua realizzazione sarà necessario un movimento terra importante e il trapianto di un considerevole numero di faggi”. Queste, in una delle poche zone verdi della Sicilia, sono già ragioni sufficienti per mobilitarsi contro l’ennesima opera decisa dai piani alti ai danni del nostro territorio. Eppure, siamo sicuri, c’è dell’altro. Veniamo da due anni di di gestione pandemica in cui tutta la vita c’è stata sequestrata, con dosi inaudite (a queste latitudini) di autoritarismo e violenza istituzionale, sventolando la bandiera della salute pubblica. Nello stesso tempo, però, abbiamo assistito alla continuazione del processo di chiusura dell’Ospedale di Petralia Sottana, alla proposta di costruzione di un deposito di scorie radioattive, alle autorizzazioni di nuovi inceneritori e rigassificatori sparsi per la Sicilia.
Bisogna riconoscerlo: per essere dei benefattori, gli amministratori dell’esistente sanno ammazzarci abbastanza bene.
L’altro che pensiamo stia avvenendo è proprio questo: la rottura della fiducia nelle Istituzioni che si insinua anche in chi, fino a “ieri”, ha creduto di vivere nel migliore dei mondi possibili; il sentire, per adesso più a livello di istinto che di piena coscienza, che una ribellione profonda- tanto contro questa società quanto contro noi stessi in questa società- debba accompagnarci da qui in avanti.
Allora tanto vale cominciare con il verso giusto, nella consapevolezza che chi si oppone deve avere le idee più chiare di chi ha dalla sua parte soldi, potere politico e media.
Buttiamo giù un paio di considerazioni, poche ma buone per chi vuole davvero mettere i bastoni tra le ruote a questo progetto.
Potremmo cominciare col decolonizzare il nostro immaginario e col ribaltare la scala di valori di chi l’Osservatorio lo vuole. Nel concreto, quest’opera servirebbe alla nuova guerra economica tra potenze che vede nella conquista dello spazio un tassello per il controllo globale della rete 5G.
Per questo dobbiamo prepararci alla lotta, coscienti che non sarà una giornata di civile protesta “e poi tutti a casa” a fermare questo scempio. Ogni volta in cui ci si trova ad avversare un’infrastruttura necessaria per il Sistema, il conflitto si fa radicale perché radicali sono le sue ragioni di fondo: da una parte la salute degli ecosistemi e di chi li abita, dall’altra il profitto e il dominio (“il cuore di un mondo senza cuore”).
Rifiutiamo, quindi, questa colata di cemento non solo perché riteniamo sia il mezzo sbagliato per un fine giusto (il progresso scientifico). Contestiamo anche la giustezza del fine: il progresso tecno- scientifico che vuole ingegnerizzare geneticamente tutta la vita per farne profitto, che produce armi e centrali nucleari, che vorrebbe ridurre tutta gli esseri (umani e non) ad algoritmo, è nemica della libertà e sta portando l’umanità alla catastrofe.
Fermarne le singole manifestazioni non è solo possibile e giusto, è anche l’occasione per riprendersi la parola sul cosa vogliamo fare delle nostre vite e dei nostri territori, per dare slancio e forza alle visioni che vogliono lottare per superare il capitalismo, cioè la società della Catastrofe permanente.
Gli strumenti a nostra disposizione sono di fronte a noi, attendono solo di incontrare la nostra volontà di autorganizzazione. Presìdi permanenti di lotta, pranzi condivisi, cortei, momenti di autogestione, azioni di disturbo, slanci generosi del cuore, sono tutti elementi per dare corpo e spirito ad una collettività di abitanti che nel ricomporsi in maniera solidale può ritessere col proprio territorio il filo che era stato spezzato.
alcuni abitanti senza capi né code