03. 04. 22

SCRITTI E ORALI
Capita che alcune persone abbiano il bisogno di scrivere per dire, per parlare in pubblico. Così degli scritti d’occasione, pensati per una situazione specifica, possono circolare al di là della situazione per cui sono stati buttati giù. Forse ancora di più in questo momento, è importante dare ali alle parole che vogliono essere pharmacon, nel senso duplice dei greci: medicina per gli oppressi, veleno per gli oppressori.
Ecco uno scrittorale dalla piazza “Viva la vita muoia la morte!” del 3 aprile.
——
Se siamo ancora qui in piazza, è perché ci siamo fatti una promessa: MAI PIU’ staremo a guardare, passivi, i disastri del mondo.
Dall’ultima presenza in piazza niente è migliorato e le nostre angosce interiori vengono confermate dai quotidiani notiziari degli orrori di guerra, di fronte ai quali non arretra di un passo il cinismo spietato delle classi dominanti: corsa al riarmo, 109 mln di euro di spesa militare giornaliera in Italia, escalation dell’opzione nucleare; mentre il carovita, la compressione delle spese sociali, i 3 morti sul lavoro al giorno, sono il bollettino dell’altro fronte, quello della guerra sociale che attraversa la vita di noi che stiamo in basso, che subiamo le scelte dei Palazzi.
Eppure ci sono pure le buone notizie che non sono quelle che piovono dall’alto ma che, al contrario, sbocciano dal basso come i fiori: i blocchi dei lavoratori del porto di Genova e dell’aeroporto di Pisa dei carichi di armi camuffati da aiuti militari, le occupazioni universitarie a Roma contro la Guerra e l’invio di armi, sono bagliori nella notte che scaldano il cuore.
Questi gesti ci ricordano che per quanto la sproporzione di forze sia tutta a vantaggio di chi comanda e decide della vita e della morte dei propri simili, questa sproporzione può essere ribaltata, se facciamo buon uso di quello che non ci possono togliere: la coscienza, l’intelligenza, la determinazione ad agire.
Se l’apparato militare- industriale detiene mezzi tecnici di formidabile potenza e letalità, noi che non abbiamo e non vogliamo il potere di ammaccare il pulsante che possa decidere la fine di tutta la vita, non possiamo che fare il migliore uso possibile della nostra umanità per combattere un Sistema che- mentre si sostiene (volentieri) su guerra, colonizzazione, sfruttamento di gran parte degli umani- rischia, per incidente, di eliminarla tutta, l’Umanità.
E se c’è chi si stupisce che le piazze non siano piene della ribellione contro l’ingiustizia, che la coscienza sociale non sia all’altezza delle sfide attuali, è perché ha dimenticato i colpi che ci sono stati inferti in questi ultimi anni di pandemia. Veniamo da due anni in cui la guerra al virus ha mascherato (e continua a mascherare) la vecchia guerra di classe- fatta a senso unico da Confindustria & Co, la guerra a tutti i pensieri diversi, ai momenti e ai tessuti collettivi non immediatamente riconducibili alla produzione, al consumo e al controllo sociale (poliziesco).
La costruzione di momenti come questo serve per ricomporre le nostre coscienze frantumate, per rifiutare l’apologia dell’isolamento che, lungi dall’essere un mezzo sanitario, è in realtà l’obiettivo permanente di chi è al potere. L’isolamento, la continua gestione emergenziale militare e autoritaria, la repressione di qualsiasi movimento di lotta e di protesta, è la situazione perfetta per imporre qualsiasi progetto. E infatti: depositi di scorie radioattive, ritorno del carbone, spesa militare alle stelle, TAV e 5G, rilancio del nucleare, sdoganamento delle tecniche di ingegneria genetica etc. Tutte queste cose possono passare molto più facilmente se non siamo in grado di autorganizzarci per tentare di fermare il mostro che avanza.
La situazione in cui ci troviamo è particolarmente delicata: mai nella storia, come ora, organizzazione della produzione e organizzazione della distruzione sono state così collegate. Tutto ciò che mangiamo, che indossiamo, che usiamo, porta in grembo una certa dose di violenza: guerra alla natura e agli ecosistemi, guerra alle popolazioni e super sfruttamento dell’uomo sull’uomo, tendenza al genocidio delle culture altre- quelle che più potrebbero suggerirci vie d’uscita.
La società nata dalla rivoluzione illuminista, diventata subito tecno-industriale, ci sta portando in un vicolo cieco, anche se tutti possiamo vederlo.
Curarci le ferite, combattere i piani di chi domina e stermina e aprire varchi a possibilità inedite, reinventando il come si vive, è necessario e giusto.
Non solo: può essere l’occasione per un’avventura vissuta insieme, disertando l’infelicità in cui ci sprofonda questa “vita” da isolati e schermo-dipendenti.
Scrivevamo due anni fa su Scirocco “auspichiamo la nascita di tanti comitati di autodifesa popolare quante saranno le emergenze sociali che si verranno a creare: problemi sul lavoro o sulla casa, bollette troppo care etc. Questi comitati dovrebbero nascere sulla base di una critica pratica della delega ai partiti, alle istituzioni, ai sindacati.” Oggi non basta, oggi dovrebbero indicare anche verso quale modo di vivere vogliamo andare.
Queste Assemblee pubbliche possono e vogliamo che siano strumento e occasione per tutto questo.
Perché l’assemblea, l’organizzazione orizzontale della solidarietà, è per la tradizione degli oppressi- con una prospettiva etica rovesciata- quello che l’isolamento competitivo degli individui è nella tradizione degli oppressori: mezzo per organizzarsi ma anche fine in sé. Per noi è un piccolo assaggio della vita per cui ci battiamo, della vita che potrebbe essere, della vita che ci batte in petto: una promessa di mondo che si mantenga da subito.

05.03.22

per chi sente il ticchettio

Questo contributo è stato scritto da un compagno in vista dell’Assemblea pubblica “Per chi sente il ticchettio” che si è tenuta alla LUPo a Catania, il 3 marzo scorso.

La lunghezza del testo non scoraggerà chi intende davvero leggere il mondo intorno a noi, i pilastri materiali che ne reggono l’alienazione, lo sfruttamento, la violenza cieca e l’idiozia. È proprio perché a lungo sono mancate, a queste latitudini, le fiammate dell’azione che la matassa si è ingarbugliata e, di conseguenza, il discorso si deve fare più lungo. Speriamo che queste parole possano essere usate come lime: per affilare gli sguardi, per squarciare le nebbie, per riprendere a cospirare.

contributoCatania

 

8 Agosto ’21

Pubblichiamo i testi di alcuni volantini distribuiti e di interventi gridati al microfono in occasione dell’iniziativa autorganizzata contro il green pass, in piazza SS. Trinità a Polizzi Generosa. Quello che rimane fuori dai testi, è l’emozione e la gioia condivisa della piazza, che si potrà trovare e provare solo nelle future iniziative che di certo non mancheranno.

DISERTIAMO!

Il 4 gennaio del ’45, in uno dei quartieri popolari di Ragusa, una giovane donna di 23 anni,
si stende sullo stradone per impedire il passaggio dei camion degli alleati arrivati per
l’ennesimo rastrellamento e favorire così la fuga di quegli uomini strappati alle loro case,
costretti con la forza a partire per una guerra che poco li riguardava. Molti erano contadini,
con l’esperienza delle lotte ancora viva e sapienti, per tale esperienza e per istinto, nell’uso
di pratiche di resistenza: come Maria Occhipinti, questo il nome della ragazza, raccontò
anni dopo nella sua autobiografia: “Quando i carabinieri presero a rastrellare i renitenti
casa per casa, ci furono tumulti, scontri a fuoco, incendi dei municipi, occupazioni di interi
paesi”. Quel mattino di gennaio, segnò l’inizio del movimento “Non si parte!” e l’eco di
quelle gesta, lo spirito di quegli uomini e quelle donne ci parlano oggi molto da vicino.
Questa epidemia, infatti, è stata narrata attraverso retoriche di guerra e gestita come tale:
coprifuoco prima, green pass adesso ce lo confermano, così come il fatto che a
somministrare i vaccini nei cosiddetti HUB di città o nelle piazze dei paesi ci siano dei
soldati o che Figliuolo, il commissario straordinario per l’emergenza Covid, sia un generale
della NATO.
La storia della Occhipinti è quindi più che pertinente e ci ha lasciato in eredità, oltre alle
pratiche, delle domande fondamentali:
CHI combatte le guerre? Chi è che materialmente perde tutto, perde la vita?
Non sono mai stati e non sono tuttora né i ricchi né i potenti che rimangono ben protetti al
chiuso di ville e palazzi, serviti col cibo migliore, curati con le migliori terapie (non è un caso
se i Trump e i Berlusconi non muoiono di Covid nonostante l’età).
È la gente comune a morire in guerra: sono i poveri, gli oppressi, gli sfruttati.
La storia del movimento “Non si parte!”, ci suggerisce però un’alternativa tra combattere le
guerre o subirle, e vale anche per QUESTA guerra. L’alternativa è disertarla: disertarne
parole, pratiche e comportamenti indotti per indirizzare queste energie, la nostra rabbia, la
frustrazione, contro il VERO nemico, che non è certo chi mette la mascherina o no, chi si
vaccina o chi non si vaccina. Non è al nostro fianco il nemico, ma in alto: sono nemici i
delegati di Confindustria che hanno imposto l’apertura delle fabbriche durante il primo
lock-down, sulla pelle di migliaia di operai; lo sono i capi di aziende multinazionali come la
Whirlpool che dopo aver incassato 100 milioni di euro in “agevolazioni” chiudono
l’impianto di Napoli perché non più redditizio licenziando in tronco 350 lavoratori e
lavoratrici. Storia che si ripete e si è ripetuta ad es. con la Bluetec a Termini Imerese.
Sono nemici gli scienziati e i medici di regime che preferiscono fare carriera tradendo etica
e giuramenti e di fatto centinaia di colleghi che hanno praticato altre cure o suggerito altre
vie bollandoli come ciarlatani, radiandoli dall’albo, con l’ampio sostegno di radio e
televisioni, forti dell’essere dalla parte dei forti, e cioè dei governi e delle “maggioranze”
che li sostengono. E l’elenco potrebbe continuare.
CHI combatte le guerre, quindi, è la prima domanda; CONTRO chi o cosa è la seconda.
In questo caso ci hanno detto “contro un virus” (lasciamo da parte le considerazioni sul
dotarlo di volontà e per di più malevola); ci hanno detto e ci dicono che la guerra al virus va
combattuta insieme e contemporaneamente che siamo incompetenti, tanto da non poter
comprendere nulla di ciò che accade e tanto da dover essere gestiti dall’inizio alla fine delle
nostre giornate e fin dentro i nostri corpi.
Eppure siamo in tanti a pensare che non è necessario essere degli scienziati per sentire che
la libertà ci è stata sottratta già da tempo e che le epidemie, i tumori, la depressione e la
lunghissima lista dei mali che ci affliggono e affliggono quotidianamente milioni di persone
(fame e miseria in testa), sono i sintomi di una malattia più grande che è questa
organizzazione sociale, il cui nome specifico è Capitalismo.
E che è proprio per mantenerla in piedi che i provvedimenti per limitare la diffusione del
virus sono ricaduti in basso senza mai toccare le cause: l’inquinamento provocato dalle
fabbriche, dagli allevamenti di massa, le centrali nucleari, le trivellazioni ENI, le
discariche…l’uso sconsiderato di farmaci, l’alimentazione industriale, i disagi psichici che si
accompagnano a una vita di alienazione, tutti fattori che incidono sui nostri sistemi
immunitari rendendoci più fragili e, quindi, vulnerabili.
È il capitalismo che ci ammala e ammala il pianeta e solo una rottura radicale e totale con
questa vita e questo mondo può avviarci a una possibile guarigione.
La lotta, la solidarietà, il tornare a organizzarsi insieme per decidere sui nostri corpi e le
nostre vite, sulla base di bisogni reali e desideri nuovi, che non siano merce, sono la
medicina. E se vi pare tutto molto astratto, pensate ai racconti di quanti hanno resistito qui,
col movimento contadino, quello per l’acqua o alla storia di Ragusa o a quello che adesso
sta succedendo nel mondo e in altre parti d’Italia dove invece che rassegnarsi medici, OS e
infermieri rifiutano attivamente la vaccinazione obbligatoria sostenendosi a vicenda; così
come insegnanti, studenti e moltissimi altri individui che stanno dando vita a collettivi
auto-organizzati per lottare e “fare fronte” all’autoritarismo e la barbarie crescenti.
È impossibile solo ciò che rimane intentato.
C’è un tempo per tutto e ci sono tempi che chiedono tutto: questo è uno di quelli.
È il momento, per ognuno, di scegliere se resistere e lottare o consegnarsi come carne da
macello, senza fiatare, a chi ci considera solo numeri in una statistica.

Sacrificarsi? Sacrificare cosa, sacrificarsi per cosa?

In quest’anno e mezzo trascorso dall’inizio della cosiddetta pandemia da Covid 19, è stata prodotta una confusione enorme da quegli stessi poteri che ora si infuriano per la dilagante sfiducia nei loro confronti.

Eppure, per quanto nascosto malamente dal fumo della propaganda, qualche fatto è emerso con chiarezza.

L’ideologia del capitalismo, la sua promessa di felicità (ossia merce in abbondanza per ¼ della popolazione, mentre il resto crepa), la convinzione di vivere nel “migliore dei mondi possibili”, si sono sciolti come ghiacciai alpini anche alle nostre latitudini.

È dall’inizio della gestione epidemica che ce lo dicono a chiare lettere, “niente sarà più come prima”. Questo è, insomma, il tempo del sacrificio.

Ma sacrificio di cosa?
Sacrificare la propria intelligenza e senso di giustizia, la propria autonomia di giudizio etico e intellettuale che fondano, insieme alla nostra libertà, la nostra umanità? Sacrificare gli incontri, l’intensità dell’esperienza empatica?

E sacrificarsi per cosa? Per indossare a tempo indeterminato- un modo carino per dire “per sempre”- un collare elettronico, per una vita che sia solo lavoro e fatica e paura, in cui certificare ogni spostamento, in cui lasciarsi attraversare il corpo dagli intrugli degli scienziati e dagli scanner dei poliziotti? Mentre si moltiplicano i disastri ecologici che nessuno scienziato e tecnico potrà risolvere, perché sono scienza e tecnica ad averli prodotti?

Il fatto di questo momento storico è la necessità non rimandabile di scegliere da che parte stare.

Stato, capitalismo e loro servi propongono di sacrificare la nostra umanità per costruire un mondo a misura di macchine.

Al contrario noi pensiamo che l’unico modo per mantenersi umani sia lottare contro il mondo che trasforma tutti i viventi in macchine e la vita nella loro organizzazione coordinata.

vaccinarsi per, contro, forse: dubitare in tempi di pandemia

Tratto dal quarto numero di Scirocco

La perdita di senso

Marzo 2021. A un anno dall’inizio della “pandemia”, è difficile abbracciare con uno sguardo l’enormità della trasformazione avvenuta; tanto più l’emergenza si normalizza (o si è già normalizzata) tanto più si disperde il “senso” e si depotenziano i (nostri) sensi: non ci tocchiamo quasi, non godiamo più della vista di un volto nella sua interezza camminando per strada; tra le decine di notizie che ci investono quotidianamente, pochissime sono quelle che riusciamo ad approfondire, e ancora meno quelle che lasciano traccia.

Lo slancio della comprensione ha bisogno di spazio, fisico, in cui svilupparsi e ha bisogno di incontro; perciò perdiamo anche quello nella misura in cui, isolati, la fatica richiesta dal rimanere al passo con gli eventi è troppa e questi ultimi paiono aver compiuto un loro “salto di specie”, sono sovrumani, il loro accadere ci tocca come un incidente: tra manovre emergenziali e piani di governi, OMS, big pharma e alta finanza, l’incidente è l’essere umano.

Possiamo osservare questa macchina in azione col piano di vaccinazione di massa.

Tenteremo nello spazio esiguo di questo articolo di fare chiarezza su una questione tanto urgente, assumendo un punto di vista, quindi una posizione, e invitando ognuno a farlo.

Un’altra cosa da fare è reindirizzare la propria fiducia: un termine preziosissimo, che presuppone un accordo tacito, un sentimento di abbandono accompagnato dalla certezza che l’Altro non ci farà del male. Perché è evidente che lo spostamento di fiducia dall’Altro all’Alto, è quell’ingrediente decisivo nel produrre un clima da totalitarismo che è giusto nominare. E ancora più giusto tentare di sovvertire.

Per quale incredibile stregoneria rimuoviamo dalla nostra memoria i lunghissimi e macabri elenchi delle malattie e delle morti causate da Stati e scienziati al loro servizio? Cosa scegliamo di dimenticare in cambio di un’illusione, ci sembra il caso di ribadirlo raccontando, a titolo di esempio, due storie.

Progressive e magnifiche sorti?

Nel ’46 nasce nella Germania ovest la Grünenthal, un’azienda farmaceutica spin-off di una fabbrica di saponi (pesantemente implicata col nazismo). La guerra aveva incentivato la crescita del settore farmaceutico e la Grünenthal diventerà da lì a poco una delle più prosperose case farmaceutiche a livello internazionale, facendo fortuna nel settore dei sonniferi e calmanti grazie al Talidomide, un sedativo ipnotico commercializzato a partire dal ’57 col nome di Contergan e utilizzato per curare vari disturbi tra cui le nausee dei primi mesi di gravidanza. A capo del settore di ricerca e sperimentazione dell’azienda figurava allora il medico nazista Heinrich Muckter1, ed erano numerosi gli ex-nazisti assunti dalla famiglia Wirtz alla nascita della società (dal ’60 al ’74, tra i vertici aziendali figura Stemmler, uno dei più accesi sostenitori dell’igiene razziale durante il nazismo).

Il talidomide, diviene il farmaco di punta dell’azienda ma, in breve tempo, alcuni medici segnalano la crescita dell’incidenza di gravi malformazioni e mortalità nei neonati in relazione alla sua assunzione in gravidanza. I report vengono ignorati dai vertici della Grünenthal (il farmaco non fu mai testato su soggetti gravidi) che s’impegnano invece in una grande campagna pubblicitaria che sottolinea la completa atossicità del miracoloso farmaco, lanciandolo sul mercato internazionale. Il Contergan, fu ritirato dal commercio solamente a partire dal ’61 (dal ’62 in Italia) e causò decine di migliaia di aborti e decessi post-partum. Dei 10.000 bambini sopravvissuti, tutti riportarono gravi menomazioni agli arti inferiori e superiori.

La Grünenthal oggi è leader globale nella gestione del dolore e delle malattie correlate” con un occhio attentissimo al portafoglio: ha siglato proprio di recente un accordo con Astrazeneca per la commercializzazione del Crestor (una statina per problemi di cuore) che, si legge sul sito dell’azienda, “continua a generare ricavi significativi” pur conservando come mission quella “di un mondo libero dal dolore”.2

Un’altra storia e una pandemia meno conosciuta:

nel 1901 viene brevettato da un ingegnere austriaco l’Eternit, un nuovo materiale composto da cemento, carta e amianto così chiamato per la sua estrema resistenza. La produzione di Eternit è strettamente legata allo sfruttamento minerario degli anni della seconda rivoluzione industriale e conosce una rapida diffusione nei campi dell’edilizia, dell’idraulica e dei trasporti con un vero e proprio boom negli anni del dopoguerra, quando verrà ampiamente utilizzato nella costruzione di scuole e ospedali, fino ad alcuni oggetti d’arredamento.

Dalla metà degli anni ’60 varie ricerche individuano la relazione tra l’inalazione delle polveri di amianto rilasciate dall’Eternit e l’insorgenza di malattie polmonari croniche insieme a una specifica forma di tumore. A mano a mano che in Europa si vieta la produzione di amianto (solamente dagli anni ’90 in poi) essa si sposta verso i paesi in via di sviluppo, con l’eccezione del Canada, che fino al 2018 ha continuato ad estrarre il minerale esportandone la quasi totalità. Si legge in un rapporto del ISS del 2007 che Secondo dati divulgati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sono oggi 125 milioni i lavoratori esposti ad amianto e molti milioni di lavoratori sono stati esposti negli anni passati. La stima di decessi (ogni anno del prossimo decennio) tra i lavoratori esposti ad amianto è di 43.000 per mesotelioma e di gran lunga maggiore è quella per tumore polmonare. Se la pandemia non viene arrestata, considerando il livello di rischio oggi appannaggio degli attuali lavoratori, potrebbe estendersi ed interessare entro i prossimi 20 anni almeno 10 milioni di persone”3 Si parla (anzi, non se ne parla affatto) di una “pandemia di tumori da amianto” che, solo in Italia, secondo le stime, continua a provocare circa 6.000 decessi all’anno.

Se, tuttora, di amianto si muore è perché dismettere definitivamente a livello mondiale la produzione e l’uso di amianto, rappresenterebbe una perdita di profitti che Stati e Compagnie minerarie ritengono evidentemente più dannosa della morte di milioni di persone. E per rendere accettabile l’aberrazione, si appoggiano a solide basi scientifiche frutto di ricerche appositamente finanziate. Scienza, Stato e Capitale, uno e trino.

Due esempi, uno in campo farmaceutico, l’altro industriale, per ricordare l’inganno, rinfocolare la rabbia per le morti, il dolore, le devastazioni, i mo(n)di di vita estirpati col canto di sirena del progresso (e più ci si sposta a Sud, più le ferite sono esposte) come ad Augusta, dove il petrolchimico ha prima ucciso i pesci, poi gli umani (e continua a farlo) e nel frattempo, tutto quello che intorno al mare girava e che era la vita prima di Eni. E dovremmo continuare, ma non c’è spazio sufficiente per contenere la patogenicità di questo sistema; non sono i virus, i materiali, i farmaci il fondo del problema ma il capitalismo che li produce e che si riproduce ogni volta che rinnoviamo in un pezzo o in un altro della vita, l’atto di fede nel suo “progresso”.

E se non citiamo le grandi scoperte scientifiche del ‘900 che hanno rivoluzionato le sorti dell’umanità (e, possiamo supporlo, questo sentimento avrà animato gli scienziati che dedicarono la vita a tali ricerche), nucleare e ingegneria genetica, è perché sarebbe davvero faticoso omettere bombe atomiche e selezione di razza, trascurabili effetti collaterali sulla strada della liberazione dell’uomo dalla sua arretratezza di essere finito, quindi, mortale.

Organismi

Da due mesi a questa parte, il mondo intero ci è stato ri-velato come un gigantesco laboratorio scientifico.

Vaccini prodotti con una tecnologia mai utilizzata prima d’ora sugli esseri umani (e che, testata da decenni su animali, per infezioni da SARS, MERS, HIV, ed altri virus, ha dato esito negativo sia per l’efficacia che per la sicurezza sulla salute4) sono iniettati quotidianamente, da personale sanitario e militare, in ogni parte del globo, nei corpi di milioni di persone, con buona pace di scienziati, medici, biologi e quanti hanno espresso i loro dubbi circa l’efficacia, la pertinenza di una vaccinazione in un momento di calo epidemico e soprattutto, gli effetti avversi anche gravi o letali manifestatisi (esiste una banca dati, EudraVigilance, che registra le segnalazioni spontanee di sospette reazioni avverse, consultabile online).

Non entreremo nel merito della tecnica, a differenza di qualche mese fa, è più facile trovare ampia documentazione sul funzionamento di questi “nuovi” vaccini. Per parte nostra, rimandiamo a una lettera, resa pubblica il 28 febbraio, indirizzata all’Agenzia europea del farmaco, da medici e scienziati “in merito alle preoccupazioni sulla sicurezza del vaccino per COVID-19”.5 E aggiungiamo un’ulteriore considerazione: se una campagna di vaccinazione globale è possibile, è perché non ci si interroga sulle premesse dell’ideologia che alimenta tale pratica, dandole per assodate una volta per tutte. Perché ci si vaccina? Quale principio individua nella natura un nemico da cui difendersi? Che effetto hanno avuto, finora, le vaccinazioni antinfluenzali annuali, o gli esavalenti iniettati ai bambini a partire dai primissimi mesi di vita?

Questo esercizio, che sa di peccato, ha come effetto diretto il vacillamento delle possenti mura che circondano la fortezza della Scienza Moderna e potrebbe produrre, infine, quello spazio minimo necessario perché l’ammettere altri paradigmi sia possibile.

E, lo ricordiamo, per interrogarsi non serve essere degli specialisti, è sufficiente non trascurare i dubbi, essere disposti a cogliere coincidenze, nessi, mettendo gli eventi in relazione tra loro e dotandosi di una bussola che indichi sempre la libertà.

Un suggerimento.

Nel luglio 2020, per consentire lo sviluppo dei vaccini anti-Covid, il parlamento europeo applica una deroga al regolamento sull’uso di OGM nelle sperimentazioni cliniche: “alcuni vaccini e trattamenti anti-COVID-19 già in fase di sviluppo possono essere definiti organismi geneticamente modificati (OGM) e sono quindi coperti dalle direttive UE sugli OGM. Poiché i requisiti nazionali […] variano considerevolmente da uno Stato membro all’altro, è necessaria una deroga a queste regole ” si legge sul sito del Parlamento, ma ci “rassicurano”, varrà solo in ambito clinico.

Nel novembre 2020 però, la questione OGM, torna ad essere discussa dalla commissione europea, stavolta in campo agro-industriale; la direttiva del 2001, già rivista nel 2018 (con la quale i Paesi Europei si dotano di un ambiguissimo regolamento, che permette le importazioni di OGM e la loro produzione in campo aperto in Spagna e Portogallo) risulta essere un ostacolo alla ricerca.

La commissione è “costretta” a rivedere le sue posizioni in materia e nel farlo dovrà frequentare il campo della metafisica individuando “la linea di confine tra un organismo geneticamente modificato e il frutto di un’innovazione varietale scientifica ma non Ogm”. Che tradotto, significa inventare nomi nuovi per nuove tecnologie con identiche premesse e identiche conseguenze (nefaste e brutali) sugli equilibri naturali, le cui alterazioni si rifletteranno tanto su un filo d’erba quanto sull’essere umano. L’ingegneria genetica è figlia del paradigma scientifico meccanicistico. Un paradigma (che non esiste da sempre, né è l’unico o il migliore in assoluto ma è, come qualunque altro, espressione di una precisa cultura) che separa, isola, analizza, e nel suo procedere verso la “soluzione”, tendenzialmente, uccide.

Quando parliamo di organismo, trattiamo un concetto che esprime bene la complessità semi-opaca della vita, dove in ogni parte è il tutto (e viceversa), e il cui “tenersi insieme” è comprensibile più con il senso dell’intuizione che con quello della ragione. Pertanto, a volerlo controllare, trattare meccanicamente spostando, sottraendo, sostituendo, si otterranno effetti imprevisti e imprevedibili-come già la storia ci ha mostrato più volte- ché la Vita è in sé, ingovernabile.

Tornare alla normalità

Se i discorsi che hanno introdotto l’attuale campagna di vaccinazione facevano largo uso del sospetto “non obbligheremo nessuno”, ecco che ai primi rifiuti, si corre ai ripari.

La vaccinazione “è un atto moralmente dovuto”, e risuona la promessa dell’agognato ritorno alla normalità, entrambi leve efficaci nel convincere enormi fette di popolazione a sottoporsi a un trattamento sanitario di cui quel poco che si sa, è tutt’altro che rassicurante. Come poco rassicurante in termini di “libertà” (sì ne siamo coscienti, è di cattivo gusto nominarla in tempi pandemici dove tutto è dovere e senso civico) è la nomina al ministero della Giustizia di Marta Cartabia che, proprio in queste ore, sta decidendo le sorti di quel personale sanitario riottoso alla vaccinazione anti-covid con un nuovo decreto. Purtroppo, non è difficile immaginare quali saranno le conclusioni del tavolo presieduto dalla neo ministra: fu proprio lei, infatti, a firmare una sentenza che, all’epoca Lorenzin, rigettò il ricorso della regione Veneto contro l’obbligatorietà vaccinale, legittimando l’uso di sanzioni, ove le raccomandazioni non fossero sufficienti, per rendere effettivo l’obbligo. E se aggiungiamo a questo la sentenza del Tribunale di Belluno che pochi giorni fa ha confermato la sospensione temporanea da lavoro di alcuni operatori di due RSA, colpevoli di aver rifiutato la vaccinazione, avremo un quadro meno romantico riguardo il rispetto “in democrazia” di diritti inalienabili come la libertà (di cura, certo). Viene da chiedersi quanto il “prima” dell’epidemia, quella vita normale alla quale si spera di tornare,

fosse tinto del rosa che adesso pare avvolgerlo; quanto, le parole spese a inizio lock-down sul pianeta al tracollo, la crisi globale, l’insostenibilità della vita sotto capitalismo, fossero solo un trampolino per il lancio di questa “transizione” di sistema che decide di indossare una casacca verde e salvare la parte da salvare: ancora una volta, coloro che hanno capitale sufficiente a investire in missioni spaziali o fusioni nucleari che si accorgono, proprio un attimo prima di precipitare, che a non correggere il tiro andranno giù esattamente come i “meno fortunati”. E, di nuovo, ancora, nel salvarsi non si preoccupano di poggiare i piedi su pile di cadaveri che dal fondo li portino ben al di sopra della superficie, una superficie a quel punto, più sgombra e pulita.

La normalità del “prima” conteneva già, come la cellula il suo nucleo, tutti gli ingredienti per questa “evoluzione”; è il risultato di anni di repressione e adattamento, di indifferenza verso tutta quella parte di mondo che ha reso possibile le nostre vite, tristi magari, ma confortevoli; le schiene sempre più curve nell’accettare uno Stato invariabilmente feroce e lucido nel voler estinguere qualsiasi forma di “altro”. Ma il progresso richiede sacrifici. Come adesso chiede esplicitamente (in quell’epoca che è stato il “prima” era,forse, meno evidente) i nostri corpi. Se qualcuno è disposto ad essere Abramo, certamente lo Stato non sarà il Dio che ne ferma la mano prima che si abbatta su Isacco.

A chi sente il ticchettio

Mentre i corpi sono deprivati (dei sensi dicevamo. E della sensualità), il sistema di potere riduce l’essere a solo-corpo, non vivo ma vivisezionabile, avviando una procedura su scala globale che è a tutti gli effetti, una sperimentazione: che non assicura “l’arresto dell’epidemia”, che presenta pesantissime incognite sugli effetti a lungo termine, che, di fatto, è un ennesimo passo verso il controllo totale della tecnica sulla vita.

Appellarsi alla scienza come fonte di certezze, è un passo falso (e falsante): come qualsiasi fare umano, il suo procedere è puntellato di errori, cambi di rotta, dibattiti vivissimi tra posizioni distanti o addirittura opposte tra loro. Ma come qualsiasi fare umano separato e dotato di potere, non curandosi delle conseguenze materiali del suo conoscere, porta in se stessa, nel cuore nero del suo sperimentare, l’orrore. Ci rimane, quindi, una sola certezza a riguardo: quando a prevalere è una voce soltanto, uniforme, onnipresente, inappellabile, quella è, sempre e soltanto, la voce del potere; ciò a cui dovremmo prestare ascolto è, invece, il ticchettìo di sottofondo, un sussurrare mai placatosi che dal fondo del tempo narra un’altra storia, chiedendoci, strenuamente, tutto il nostro coraggio.

  1. https://www.panorama.it/maggio-1968-il-processo-al-talidomide-storia-e-foto?rebelltitem=1#rebelltitem1
  2. https://www.grunenthal.it/it-it/press-room/comunicati_stampa/2021/gruenenthal-conclude-l-accordo-con-astrazeneca-per-i-diritti-europei-di-crestor-rosuvastatina
  3. Marsili Daniela. Salute e sviluppo: il caso dell’amianto nei Paesi in via di sviluppo, Rapporti ISTISAN, 07/20. Istituto Superiore di Sanità, Roma 2007. https://www.saluteinternazionale.info/2011/04/lamianto-nei-paesi-in-via-di-sviluppo/#biblio

  4. https://www.biologicalmedicineinstitute.com/post/covid-19-mrna-vaccines
  5. http://vocidallestero.blogspot.com/2021/03/lettera-aperta-urgente-di-medici-e.html; versione originale in lingua: https://doctors4covidethics.medium.com/urgent-open-letter-from-doctors-and-scientists-to-the-european-medicines-agency-regarding-covid-19-f6e17c311595